Ninety seven.

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Il sonno arretrato accumulato in quei giorni, improvvisamente, manifestò i suoi effetti e il più grande si ritrovò a faticare a tenere gli occhi aperti mentre osservava Federico uscire da quella cucina a lui estranea, senza voltarsi a guardarlo un'ultima volta.
-"Mi perdonerai un giorno?"
-"Non so che cosa succederà in futuro ma, di sicuro, quel giorno non è oggi."
Benjamin non rispose nulla a quelle parole. Credeva di non avere neppure il diritto di rispondere. Che cosa avrebbe potuto dirgli?
Federico aveva tutte le ragione del mondo per avercela con lui, per odiarlo e non volerlo più vedere. Aveva tradito lui e la sua fiducia, lo aveva ingannato nascondendogli tutto ed era anche riuscito a farlo sentire in colpa quando, negli ultimi giorni passati insieme, non riusciva a fare nulla per farlo sentire meglio.
Benjamin non si mosse mentre aspettava che la figura slanciata del più piccolo svanisse oltre lo stretto e buio corridoio. Sperava che, per qualche assurdo motivo, si voltasse a guardarlo e a qualche punto lui avrebbe potuto sperare che tutto si sarebbe potuto sistemare. Avrebbe potuto sperare che per loro c'era ancora una speranza. Federico però non si voltò, camminò diritto per la sua strada e quando svanì Benjamin sentì una morsa allo stomaco.
Il biondo gli era mancato così tanto in quella settimana, gli erano mancati i suoi occhi, i suoi capelli perennemente scompigliati, le sue mani grandi. Gli era mancato tutto di lui a tal punto che sarebbe rimasto per ore a contemplarlo in silenzio, per assicurarsi che stesse bene, per imprimere nella sua mente i cambiamenti che aveva subito in quegli ultimi giorni.
Federico era appena andato via eppure al moro sembrava essere ritornato nel buio che lo aveva avvolto durante quei giorni. Gli mancava già. Nonostante non avessero avuto una bella conversazione, l'aveva visto, aveva avuto modo di constatare con i suoi occhi come stesse.
"Ti prego, Federico, torna. Torna qui da me." Lo supplicò mentalmente il più grande, troppo stanco per aprire bocca e pronunciare quelle parole, ma sperava che in un modo o l'altro potessero ugualmente giungere a Federico.
Non era pronto ad accettare che tutto fosse finito.

Era passata una quantità di minuti indefinita da quando il più piccolo aveva lasciato quella cucina e anche Benjamin. Il moro si era accasciato sulla sedia, lo sguardo fisso sulla soglia che divideva la cucina dal corridoio, sperando da un momento all'altro di vedere tornare Federico. Di vederlo tornare da lui.
Non successe però. Federico non ritornò mai in quella cucina, da lui, e Benjamin rimase a tormentarsi tra i suoi pensieri che non lo lasciavano respirare bene.
Kevin entrò in quella stessa cucina poco dopo, con un'espressione di compassione stampato sul volto segnato dalle rughe e dal passare del tempo.
-"Com'è andata?" Gli chiese Kevin e si fermò davanti a lui.
Benjamin non rispose a quella domanda. Non aveva una reale risposta. Era andata male per le parole che Federico, giustamente, gli aveva detto ma era riuscito a vederlo, quindi non aveva il coraggio di lamentarsi. Vederlo era tutto ciò di cui aveva bisogno.
Il moro abbozzò un sorriso e scrollò le spalle.
-"Grazie per avermi permesso di venire qui e parlargli." Sussurrò e si passò una mano tra i capelli, che avrebbe dovuto decisamente tagliare.
Kevin sorrise e gli diede una pacca sulla spalla.
-"Non serve ringraziarmi." Rispose. "Federico mi ha chiesto di accompagnarti al college, devo anche prendere le sue cose."
Benjamin sbarrò gli occhi a quelle parole ed era certo, anche se non aveva uno specchio davanti a lui, fosse impallidito.
-"P- prendere le s- sue cose?" Balbettò spaventato il moro.
Kevin annuì.
-"Mi ha detto che domani partirà per tornare ad Atlanta, dai suoi genitori." Spiegò l'uomo anziano. "Gliel'hai suggerito tu o sbaglio?"
Il più grande sospirò di sollievo e annuì.
-"Sì, gliel'ho detto io." Rispose il più grande. "I suoi genitori sono molto preoccupati per lui."
-"Beh, mi sembra ovvio." Commentò l'uomo e sorrise nuovamente al moro, palesemente distrutto dalle giornate passate e dalla conversazione appena avuto con il suo, ormai, ex fidanzato. "Andiamo?"

Benjamin era uscito da quella casa con la speranza di vedere un'ultima volta Federico, ma di questo non aveva visto neppure l'ombra. Aveva conosciuto la moglie di Kevin e lei aveva tentato di consolarlo dicendo che tutto si sarebbe risolto, che era palese quanto lui e Federico tenessero l'uno all'altro e un sentimento del genere non poteva finire da un momento all'altro.
Benjamin era certo che il suo di sentimento non sarebbe finito mai, Federico gli era entrato fin dentro le ossa e liberarsi di lui, del suo ricordo e del suo amore sarebbe stato praticamente impossibile.
Quando, di ritorno al college, consegnò a Kevin una valigia con tutti i vestiti più pesanti del più piccolo non poté fare a meno di annusare a pieni polmoni ognuno di loro e sentirsi un po' più vuoto quando, rimasto da solo nella stanza, vide l'altra parte dell'armadio quasi vuota.
D'impulso, Benjamin, prese il suo cellulare e lo sbloccò, per poi aprire la chat con il più piccolo e digitare un messaggio senza un reale senso, o ordine grammaticale, ma che in quel momento per lui aveva grande importanza.
«Mi dispiace, Federico. Mi dispiace da morire.
Mi sento un verme per quello che ti ho fatto, e forse, un verme, lo sono davvero altrimenti non ti avrei mai fatto quello che ormai ben sai.
Non ho scuse, lo so benissimo, eppure mi ritrovo qui a chiederti scusa. Sono incoerente, me l'hai detto tante volte.
Vederti oggi, vedere quanto male ti ho fatto con i miei stessi occhi, ha scatenato ne infinite emozioni. Non posso negare però la mia gioia nel sapere che stai bene, che non ti è successo nulla. In questi giorni la paura che potesse esserti successo qualcosa era per me come un macigno che mi impediva di fare qualsiasi cosa, non mi lamento però, so di essermelo meritato. Sono solo felice che tu stia bene, per quanto possibile.
Mi dispiace che tu abbia dovuto scoprire del mio tradimento in quel modo, tanto improvviso e inadatto, mentirei se ti dicessi che avrei voluto dirtelo io perché non è così. Speravo che restasse un segreto, un orribile segreto, e di poter continuare tranquillamente la mia relazione con te. È stato solo uno sbaglio, da quando sto con te non c'è stato un solo momento in cui io non abbia voluto te o in cui non ti abbia amato. Ero spaventato, ansioso, temevo di non essere alla tua altezza e ho fatto il peggiore dei sbagli. Non è una scusante, in realtà non è assolutamente nulla ma in quel momento nella mia testa aveva senso. Pensavo meritassi di meglio ma che fossi troppo buono per lasciarmi, quindi ho fatto tutto affinché fossi costretto a farlo ma mi sono pentito subito dopo. Non ero alla tua altezza, è vero, ma da quel momento sono intenzionato a fare di tutto per esserlo. Io non volevo perderti.
Io non voglio perderti, Federico, e non so quanto valore abbia adesso questa frase dato che ti ho già perso.
Non so neppure se leggerai questo messaggio ma sentivo di doverlo scrivere. Sentivo di aver bisogno di parlarti ancora in qualche modo.
Non sei costretto a rispondere, immagino come tu possa sentirti. Voglio solo che tu sappia che io non mi arrendo. Non mi arrenderò tanto facilmente. Voglio lottare per te e, vada come vada, lo farò fino alla fine.
Non mi arrendo. Non quando si tratta di te.
Sto arrivando.»

The college || Fenji.Donde viven las historias. Descúbrelo ahora