Il moro deglutì rumorosamente e strinse le mani sul tavolo.
-"Che cosa vuoi fare adesso?" Gli chiese. "Kevin mi ha detto che domani andrai via da qui."
-"Non so esattamente che cosa farò." Replicò il più piccolo. "Ma so che non includerà te. Nulla della mia vita includerà più te."
A quelle parole, pronunciate con una naturalezza e una tranquillità tale da spiazzare totalmente il più grande, seguirono infiniti attimi di silenzio dove nessuno dei due giovani, ancora perdutamente innamorati l'uno dell'altro, ebbe il coraggio di guardare l'altro negli occhi. I cinque minuti imposti dal più piccolo erano trascorsi, o forse no, a Benjamin il tempo sembrava essersi bloccato mentre Federico sentiva il peso di ogni secondo che passava e gli piombava addosso con tutta la sua forza. Gli sembrava di non vedere Benjamin da una vita, eppure non voleva farlo, non era pronto. Se l'era ritrovato davanti quando meno se lo aspettava, immaginava che lo stesse cercando ma non pensava lo avrebbe trovato.
"Sembra che il destino voglia prendersi gioco di te, Federico." E forse era vero. Forse il destino voleva davvero prendersi gioco di lui e continuare a farlo inciampare in tutte le persone sbagliate che aveva incontrato in vita sua. Continuava a metterlo di fronte a quanto di negativo c'era nella sua vita senza lasciargli vie di fuga.
Quante probabilità c'erano che Benjamin incontrasse proprio Kevin in un bar qualsiasi, lontano dal loro college, e si sedesse accanto a lui? In altre circostanze nessuna. Eppure in quella situazione sembrava tutto così assurdo ma allo stesso tempo così naturale, il moro aveva chiesto informazioni a chiunque tranne a chi realmente sapeva e Kevin, incuriosito, aveva attirato la sua attenzione per chiedergli di vedere la foto.
Il più piccolo sospirò, improvvisamente stanco, e poggiò la testa su un palmo aperto di una mano attirando, se pur per pochi secondi, lo sguardo del diciassettenne su di lui. Ma quei pochi secondi bastarono a scaldargli il cuore. Federico sarebbe anche potuto arrivare al punto di odiarlo ma gli occhi di Benjamin lo avrebbero sempre fatto sentire speciale.
-"Forse dovresti tornare a casa tua." Disse il diciassettenne, abbassando nuovamente lo sguardo sulle sue mani tatuate. Quelle mani che tante volte avevano accarezzato e stretto Federico e che, in quel momento, si sentivano attratte dalle mani del biondo come se fossero calamite. "Ad Atlanta intendo." Spiegò, come se la mancanza di risposta di Federico fosse dovuto ad una sua non comprensione.
-"E perché dovrei tornare a casa mia?" Replicò Federico e inarcò un sopracciglio. Non voleva provocarlo, tantomeno contraddirlo, soltanto non capiva perché proprio Benjamin, che sapeva come stessero le cose con la sua famiglia, gli stesse consigliando di tornare a casa sua.
-"Tuo padre, Roger, è molto preoccupato per te."
La debole luce del sole di quella mattina filtrava dalla grande finestra posta alle spalle di Federico, illuminando la stanza e regalando a Federico qualcosa di angelico. Gli occhi del biondo, secondo il moro, erano più luminosi che mai. Federico era più bello che mai.
-"Lui sa tutto?" Gli domandò Federico e inclinò la testa da un lato, facendo oscillare un ciuffo di capelli più lunghi degli altri.
-"Sì." Annuì il moro. "Sono stato costretto a dirglielo." Aggiunse. "Jeremy e gli altri insistevano affinché chiamassi i tuoi genitori e la mia scusa di non volerli preoccupare non reggeva più." Spiegò. "E mi serviva anche qualcuno che mi coprisse con gli insegnanti, anche loro iniziavano ad insospettirsi per la tua assenza."
Il più piccolo annuì debolmente e stiracchiò le gambe, coperte da un pantalone grigio troppo grande per lui, in avanti colpendo la sedia che gli stava accanto.
-"E- e come ha r- reagito?" Gli domandò, balbettando, il più piccolo.
A Benjamin venne naturale sorridere a quella domanda. Per quanto il più piccolo volesse negarlo, per quanto volesse fingere di essere forte e indipendente, per quanto volesse convincere se stesso di aver chiuso con i suoi genitori lui continuava ad avere un disperato bisogno di loro, della loro approvazione e sapere che si preoccupavano per lui.
-"Come ti ho già detto, è molto preoccupato. Mi ha chiamato una decina di volte al giorno per avere tue notizie e anche lui ti sta cercando ad Atlanta." Rispose Benjamin. "Si è anche preso dei giorni di ferie dal lavoro per poterti cercare e sta impazzendo a non sapere dove sei. Teme possa esserti successo qualcosa." Continuò. "Anche se spesso ti ha dimostrato il contrario, tiene molto a te e ti vuole bene come se fossi realmente tuo figlio.
Non hai il suo DNA ma hai il suo amore, Federico.
Lui ti ama e in questi giorni l'ho capito." Concluse e abbozzò un sorriso. Era stato il primo a dire a Federico di allontanarsi da Roger e da Taylor, perché meritava meglio, ma in quei giorni aveva capito quanto l'uomo tenesse a lui e quanto fosse stato difficile anche per lui accettare che il suo primogenito, il suo bambino, non fosse sangue del suo sangue.
Il biondo trasalì a quelle parole e cercò di mantenere un'espressione neutra, ma dentro di lui c'era un coro intero di angeli che stavano cantando felici. Pensava che suo padre non gli volesse più bene, che non gli importasse più nulla di lui ma si sbagliava.
-"E m- mamma?" Chiese il ragazzo e iniziò a torturarsi il labbro inferiore con i denti. La donna negli ultimi aveva avuto nei suoi confronti degli atteggiamenti molto duri, gli aveva più volte ripetuto che lui fosse stato soltanto uno sbaglio ma non sapeva fino a che punto quelle parole, per sua madre, potessero essere vere.
-"Lei non sa nulla." Disse il più grande. "Tuo padre non ha detto nulla a nessuno per evitare che si creasse troppa confusione. Aveva bisogno di cercarti in tranquillità, senza pressioni e lo stesso era qui per me." Spiegò. "Ma sono sicuro che anche lei si sarebbe preoccupata. Sei pur sempre suo figlio."
Federico annuì, incerto, e sospirò per poi lasciarsi andare contro lo schienale rivestito della sedia.
-"Comunque grazie."
-"Per che cosa?"
-"Per avermi cercato." Rispose Federico e si strinse nelle spalle. "Kevin mi ha detto che non ti sei fermato un solo momento e, a giudicare dal tuo aspetto, non fatico a crederci."
Il moro abbozzò un sorriso e chiuse gli occhi per un momento. Dentro di lui stava avvenendo un tornado di emozioni, era felice per aver ritrovato Federico, perché stava finalmente parlando con lui ma allo stesso tempo era triste perché il biondo non voleva più saperne nulla di lui, perché credeva che le loro strade si fossero ormai separate, ed era anche distrutto e si odiava per quello che aveva fatto a Federico. L'unica persona che amava.
-"Non avrei potuto fare altrimenti." Rispose il moro. "Non sarei mai riuscito a dormire tranquillo sapendo che tu eri chissà dove senza fare nulla." Aggiunse. "Avevo bisogno di cercarti."
Federico annuì e dopo altri momenti di silenzio, in cui la tensione era palpabile, si alzò dalla sua sedia.
-"Adesso dovresti tornare al college. Sta per piovere e gli altri di sicuro vorranno sapere dove sei." Disse e si avvicinò all'uscita della cucina.
Il moro annuì e, trovando un briciolo di coraggio, alzò lo sguardo sul più piccolo.
-"Mi perdonerai un giorno?"
-"Non so che cosa succederà in futuro ma, di sicuro, quel giorno non è oggi."

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The college || Fenji.
FanfictionThe college || Fenji. «Un eccesso di troppo costringerà un ragazzo, abituato al lusso, a rinunciare a tutte le sue abitudini. Tra quei bianchi corridoi la sua vita cambierà. Lui cambierà.»