La dolce e innocente Elizabeth, figlia di contadini è cresciuta lontana dalla città e dagli sfarzi della corte francese, e il suo unico diletto nella vita è quello di fermarsi ad osservare i paesaggi dalla collinetta della campagna, e delinearne i p...
Mi risvegliai nelle tenebre. Per quanto tempo avevo dormito? Tastai il materasso accanto a me, e Francis non c'era. Era già partito! Mi ero persa la sua partenza, maledizione, ma ero esausta. Francis Jr dormiva placidamente nella culla accanto al mio letto, con il cavalluccio a dondolo che il principe gli aveva regalato tempo prima che lui nascesse. Andai nella sala da pranzo, e sul tavolo c'era un'enorme mazzo di rose bianche, miste a tulipani e margherite, e un biglietto. « Eri così bella mentre dormivi, che svegliarti sarebbe stato un sacrilegio. Prometto di tornare presto, mon tresor. Je t'aime plus qu'hier e moins quedemain. A bientôt » Sorrisi. "Ti amo più di ieri, e meno di domani. A presto." Non avevo sonno, forse perché avevo dormito per tutto quel tempo. Gertrude era ancora in piedi, così le chiesi di rimanere accanto al piccolo. Il giardino era illuminato dalle torce, e dai piccoli lampioncini alimentati grazie al fuoco e all'olio. Tirava una leggera brezza, che mi costrinse a stringere le braccia attorno al mio corpo. Passeggiai per un po' lungo il prato ben curato della tenuta, e fissai il cielo limpido. Si sentiva un profumo di fiori che aleggiava per l'aria fresca della sera, rose, tulipani e girasoli. Mi sfuggì un sorriso spontaneo, ripensando all'odore dei capelli di Francis, delle sue mani morbide mentre mi stringevano a sé. Mentre continuavo la mia passeggiata serale in solitudine, scorsi sulla riva del ruscello una sagoma di spalle. Mi bloccai di colpo, e il respiro mi si smorzò in gola. Avevo il cuore a mille. Qualcuno si era introdotto nella nostra proprietà. Il mio primo pensiero fu quello di chiamare Henry, ma poi mi resi conto che era tarda notte e che il poverino probabilmente stava già dormendo. Mi feci coraggio, e feci qualche passo in avanti, cercando di essere più silenziosa possibile. Arrivai a pochi passi da lui, ma nella penombra non riuscivo a vederlo bene. Poi, qualcosa alle mie spalle si mosse, forse un animale, e l'uomo si voltò di scatto. Si accorse di me, e mi afferrò per un polso. La paura si impadronì totalmente di me, ero paralizzata. « Chi diamine siete?! » dissi, ostentando un coraggio che non mi apparteneva assolutamente. Lui si fermò per qualche secondo, la stretta si allentò e avvicinò il viso al mio. La luna illuminò una ciocca di capelli fulvi che gli ricadevano sulla fronte. « Beth? » mormorò, sorpreso. Io tirai un sospiro di sollievo non appena udii quel forte accento scozzese che poteva identificare solo una persona.
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« Jamie, Dio Misericordioso ». Jamie mi lasciò andare completamente. Io feci qualche passo indietro, e lui uscì dall'ombra di un castano sotto alla quale era stato fino a quel momento, rivelandosi completamente. « Vi domando scusa miss Beth. Non era assolutamente mia intenzione spaventarvi. Solo che... non credevo di trovarvi passeggiare a quest'ora della notte » disse, come se si stesse giustificando. Poco a poco, la velocità del mio cuore diminuì, e il mio corpo iniziò a riprendere padronanza dei propri muscoli. Poi, la luna sembrò brillare più forte e i miei occhi si abituarono al buio. Jamie era senza camicia. Arrossii violentemente, a quella vista. Aveva i fianchi stretti, le spalle ampie e le braccia muscolose. Il torace era scolpito, e sembrava quasi una statua. « I- io, n- non... non » balbettai, e distolsi rapidamente lo sguardo. Jamie si voltò velocemente, e si inginocchiò per riprendere la camicia e indossarla. Un grido di orrore mi sfuggì dalle labbra quando i miei occhi si posarono sulla schiena dell'uomo. Mi portai una mano al viso, e non riuscii a nascondere la mia espressione stralunata. « Jamie... cosa diamine ti è successo? » dissi, dimenticando le formalità e dandogli del tu per la prima volta. Le gambe mi cedettero, e caddi in ginocchio accanto a lui.
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Jamie si voltò, sul suo volto un'espressione mista tra il disgusto, la rabbia,l'odio... e la tristezza. « Perdonami, Jamie, io non... non volevo dirtelo in questo modo, è solo che... quelle cicatrici, io... Perdonami,davvero sono stata indelicata... » Feci per alzarmi e andare via imbarazzata, ma lui mi trattenne dolcemente per una mano. Il suo tocco era diverso dalla sua espressione dura. I miei occhi si posarono involontariamente sulla sua schiena, una seconda volta. Quella schiena così ampia, muscolosa... era deturpata da orribili cicatrici scavate in profondità che la sfiguravano completamente. Ogni cicatrice era molto profonda, e disegnata di traverso. Della pelle si raggruppava intorno ai solchi, e dal colore, si capiva che erano cicatrici di vecchia data. Da quello che potevo notare... era stato frustato. Con tanta... troppa ferocia. Con troppo accanimento. Quale bestia immonda era capace di commettere una tale atrocità? Ero sconvolta, e disgustata, non dalle cicatrici ma dall'atto in sé. Si alzò e fece qualche passo in avanti. Si tolse gli stivali, e si sedette sul bordo del ruscello. Aveva pensato di indossare la camicia, per nascondere la sua schiena, ma ormai avevo visto tutto e la posò di nuovo, trovando inutile metterla. Poi si voltò, e mi fece cenno di sedermi accanto a lui. Alzò gli occhi al cielo, assumendo un'espressione vulnerabile. « Credo che Clare mi ucciderà per questo » disse, con un falso sorriso sul volto. « No, se nessuno le dirà nulla » dissi, incoraggiandolo. Lui mi guardò, con una strana luce negli occhi. « Pensavo stessi dormendo » ribadì, sentendosi colpevole. « Non guardarmi, sono disgustoso » mormorò, voltando la schiena dallaparte opposta al mio viso. « Jamie, smettila di dire sciocchezze. Non lo sei affatto... ma ora dimmi,come te le sei procurate? » chiesi, impaziente di sapere la verità. Jamie sospirò, sconfitto. « Probabilmente ci manderete via dopo aver ascoltato ciò che sto per dire » mormorò, e sembrava molto serio. Iniziai a preoccuparmi. « Jamie, nessuno ti manderà via. Avanti, ora parla» dissi, con un tono troppo spaventato per convincere qualcuno che fossi tranquilla. « Quando ero più giovane di così, fui frustato dal comandate delle giubbe rosse, Jack Randall, noto come Black Jack. Mi frustò perché avevo cercato di difendere mia sorella da quei luridi bastardi che cercarono di violentarla. Mi disse che se non avessi smesso di muovermi, mi avrebbe ammazzato, ma io non lo ascoltai. Volevo proteggere mia sorella ». Mentre raccontava, un'espressione di rancore gli attraversò il volto. Era un rancore così radicato, che quasi mi spaventò. « Ma loro erano in molti, e mi bloccarono. Mia sorella fu mandata dentro, ed io fui legato per i polsi a una trave, fui spogliato e Randall afferrò una frusta di cuoio pesante ». Strinsi i pugni, e trattenni a stento le lacrime. Potevo solo immaginare il resto del racconto. « Non ricordo quante frustate ricevetti, ma ricordo il sangue, e i brandelli di pelle che cadevano ai miei piedi. Ricordo un dolore lancinante, e ricordo che a un certo punto sentii le gambe diventare molli, e la mente offuscarsi. Ma ciò che ricordo più vividamente, era la rabbia, la collera e il rancore che stavo covando in quel momento. Non per me, ma per mia sorella ». Ormai piangevo, perché Jamie non riusciva a raccontare trattenendo le emozioni. Il suo viso era una maschera di dolore. « Ma che razza di animale può fare una cosa simile? » dissi, con le lacrime agli occhi e la voce rotta. Jamie si voltò verso di me, ed io mi asciugai in fretta le lacrime. Mi accarezzò un braccio, ed io lo intimai a continuare. « Persi i sensi, e quando rinvenni ero in prigione. La furia di Randall si era placcata, ma sapevo che quelle ferite non sarebbero mai scomparse dalla mia pelle. Mi disse che avrei avuto per sempre qualcosa di lui su di me. E' un uomo malvagio e grottesco, Beth. Non auguro a nessuno, nemmeno al mio peggior nemico, di trovarselo sulla strada ». « E poi? Come ti liberasti? » lo incalzai. « I miei compagni mi fecero fuggire, e da allora ho una taglia sulla mia testa ». Si voltò verso di me, perché sapeva di aver rivelato qualcosa di sconvolgente e pericoloso. « Le giubbe rosse mi cercano, e se mi trovano mi faranno incarcerare, poi processare e poi sono destinato al patibolo Beth. Prima o poi, sarà questo ciò che mi accadrà. Perciò, adesso... vado a preparare le mie cose, lascio questa casa. Non posso approfittare oltre della vostra ospitalità ». « No! » dissi, afferrandogli un polso prima che potesse alzarsi. « Che cosa? » mormorò lui. « No, non vi lascerò andare via. Primo: le giubbe rosse sono inglesi, non hanno giurisdizione qui, su territorio francese. Secondo: Francis non dovrà sapere nulla di questa storia, Jamie. E Clare non dovrà sapere che me l'hai raccontata, intesi? » dissi, facendo appello a tutto il mio coraggio. « Beth, sei impazzita? » disse Jamie, incredulo. « Ti ho appena detto che sono un fuggitivo, un ricercato! Stai dando asilo a una specie di criminale, potresti passare guai seri per questo, lo sai vero? » « No, se tu terrai quella bocca chiusa! » dissi, in preda a una crisi. « Non vi lascerò allo sbando, non dopo quello che mi hai raccontato. Non dopo quello che hai passato... Dio santo Jamie, dimmi chi ti ha dato la forza... » mormorai, prendendogli una mano. La sua mano era ruvida, e grande. Temprata dal lavoro e dalle sofferenze. « Come puoi accettare una cosa simile, Beth? Ci hai appena conosciuti e...non hai paura? » chiese. Quell'uomo impavido, sprezzante che avevo conosciuto appena arrivato, si era trasformato in quel momento in un uomo vulnerabile, pieno di sentimenti che aveva represso a stento. « Sì, ho paura. Ma la paura non mi impedirà di aiutarvi » mormorai. « Tu e Clare lo meritate, e rimarrete qui finché vorrete, su questo non si discute » dissi, risoluta. « D'altronde... non è la prima volta che nascondo un fuggiasco » dissi, e sorrisi malinconica. Jamie sembrò non capire, ma la mia frase era volutamente riferita a Bash. Quando lo conobbi, anche lui era in un certo senso "ricercato". Non nel modo in cui lo era Jamie, ma mi toccò nasconderlo comunque. E da lì, iniziò tutto... « Jamie, se rifiuterai lo capirò e non insisterò... però... » esitai. « Dimmi, Beth » disse, dolcemente. « Posso vedere le cicatrici? » Lui mi osservò, cercando di capire se davvero fossi interessata a guardare quello scempio che ormai faceva parte del suo corpo. « Ne sei proprio convinta? » mi chiese, titubante. Io annuii. Lui si scostò leggermente, poi voltò le spalle verso di me, e rimase immobile e in silenzio, in attesa che io dicessi qualcosa. Mi avvicinai a lui, e mi inginocchiai a pochi centimetri dal suo corpo. Mi mancava quasi la salivazione, quelle ferite erano spaventosamente profonde. Con l'indice, tracciai il contorno di una di quelle, e sentii Jamie rabbrividire. « Scusami » mormorai. « Non è niente » disse lui. Con il palmo aperto, poi, scesi lungo la schiena mentre osservavo con la bocca semiaperta quello spettacolo di odio gratuito. « Solo un demonio è capace di arrivare a tanto» mormorai, allibita. « Black Jack trova piacere nella perversione, nel dolore delle persone. Prova un piacere immenso » mormorò, con voce roca. Era più che chiaro che Jamie provava nei confronti di quell'uomo un odio smisurato. Non capivo se avesse intenzione di vendicarsi o meno, ma mi rendevo conto che nella sua posizione, l'unica cosa che poteva fare era non farsi trovare. La sua schiena era motivo di sospetti, per chiunque l'avesse vista. Ecco perché Clare si preoccupava tanto. Chiunque avesse posato gli occhi sulla schiena di Jamie, avrebbe capito che qualcosa non andava in lui. Che gli era successo qualcosa di molto grave e che quindi sarebbe stato meglio tenersene alla larga. Tolsi la mano, e mi asciugai una lacrima prima che lui potesse vedermi. Capivo che l'ultima cosa che voleva in quelle condizioni era ispirare pietà. Ma lui non mi ispirava pietà, ma coraggio e forza. Solo una persona con una forza d'animo non indifferente sarebbe riuscita a sopravvivere in una situazione simile, dopo essere stato massacrato con una così efferata crudeltà. « Che ci facevi qui? » mi domandò lui, all'improvviso distogliendomi dai miei pensieri. « Ho dormito molto, e quando mi sono svegliata Francis era già partito... » « Aye » disse lui « si è portato anche Clare » continuò, con un sorrisetto. « Mi dispiace, mi ha detto che ne aveva bisogno» dissi, mortificata. « Non dispiacerti, me la caverò anche senza la Sassenach » mormorò, riacquistando un apparente buon'umore. « Sei molto coraggioso » dissi, prima di rendermene conto. Lui aggrottò le sopracciglia, cercando di capire come mai avessi detto quella cosa. Il motivo però mi sembrava evidente. « Non credo di essere coraggioso, Beth » mormorò. « Credo solo che in queste situazioni ci sono solo due cose da fare, e tu devi sceglierne una. O decidi di non dimenticare mai, e ti lasci morire lasciando che il dolore ti consumi ... oppure decidi di andare avanti, lo fai per le persone che ti stanno accanto. E io ho scelto la seconda opzione, sebbene sia più impervia, mi rende più felice » concluse, con un sorrisetto. Gli sorrisi anche io. « Sianar bòidheach » dissi, a un certo punto. « Non sono più riuscita a dimenticare questa frase ». Lui si ravviò i capelli con la mano. « E sai il suo significato? » Clare mi aveva detto ciò che significava, ma ero quasi sicura che si fosse sbagliata, o per un mio problema di pronuncia o perché effettivamente aveva sbagliato il significato di una delle due parole. Scossi la testa. « No, non conosco questa espressione in gaelico »mormorai. Fissò il ruscello che scorreva silenzioso ai nostri piedi, e puntò qualche istante gli occhi sulla luna pallida che si rifletteva nell'acqua, tremolante. Io invece continuai a fissarlo. « Sei bellissima. Ecco ciò che significa ». Non sembrava imbarazzato dopo quella rivelazione, ma io sì. « Sei gentile » dissi semplicemente. Lui si voltò verso di me, e mi osservò capelli, poi gli occhi e la bocca. Scosse la testa. « Non sono gentile, sono sincero » mormorò, e si alzò. « Credo sia ora di tornarsene a letto, che dici?» disse ancora. Io ero ancora lievemente stordita dalla sua dichiarazione, e non dissi nulla. Mi limitai ad alzarmi, e annuire. « Va bene, allora, buonanotte Jamie » mormorai. Jamie mi prese la mano, e mi diede un bacio sui capelli che mi lasciò disasso. « Grazie per le parole, e grazie per l'ospitalità. Ma sappi che se dovessi avere anche solo il sentore di mettervi in pericolo andrò via... e non ascolterò». « Non accadrà, Jamie » dissi, rassicurandolo. « Buonanotte, Beth ». Mi riavviai verso la mia casa, e mi strinsi il vestito addosso. Jamie. Jamie. Jamie. Quel nome mi rimbombava nella mente. Le sue cicatrici, e Black Jack. Dio, non lo conoscevo, e lo odiavo. Ringraziavo il cielo per non aver mai messo un uomo simile sul mio cammino. Cullai dolcemente il mio bambino tra le braccia, e gli diedi un bacio sulla fronte. Provai ad addormentarmi, e fui svegliata dal piccolo che piangeva durante la notte. Fece la poppata notturna, e si tranquillizzò. Tornai a letto, e dormii fino all'alba del giorno dopo. Quella notte sognai Francis, Bash e le cicatrici di Jamie. Mi svegliai di soprassalto, sudata. Mi alzai in fretta e furia, e controllai il bambino. Stava dormendo placidamente, per fortuna. Quando andai nella sala grande per fare colazione, c'era una lettera di Francis. Strappai la busta, estrassi la carta e ne lessi il contenuto. « Mon tresor, sono stato trattenuto a corte più del previsto. Bash è fuori, ed ha mandato un messaggio dicendo che il suo soggiorno si protrarrà più del previsto, e prima che mia mamma guarisca del tutto, non posso muovermi da qui; Spero che il piccolo Francis stia bene, e che tu stia bene. Mi manca, e tu mi manchi più di tutto. Clare dice che mia madre è stata avvelenata, stiamo cercando di capire da che tipo di veleno sia stata colpita. Spero di tornare presto. Clare ti saluta.Ti amo, Francis.» Sbuffai. Non mi piaceva che Francis fosse lontano da me per così tanto tempo. La giornata passò monotona, e arrivò la notte in modo celere. Chiacchierai con Jamie nel pomeriggio, e facemmo una passeggiata lungo il ruscello. Mi raccontò della Scozia, della sua famiglia, del clan McKenzie, e di Clare. Mi piaceva ascoltarlo mentre raccontava, Jamie aveva una predisposizione naturale per le storie. Aveva una voce profonda e rilassante, e il suo accento era stupendo. Gli dissi di Francis, e di Clare, e lui non poté fare altro che annuire e rassegnarsi come me. Immagino gli mancasse Clare, ma non osavo chiedere. Giocò con il piccolo Francis. Lo tenne sulle ginocchia, gli fece le smorfie, e gli cantò una canzoncina in gaelico per farlo addormentare, che mi fece letteralmente andare in estasi. « Questa canzone è bellissima Jamie. Ha una melodia così dolce, sebbene non ne capisca il significato ». Lui sorrise, e mi spiegò che parlava di una ragazza che un giorno toccò delle pietre magiche su una collina in Scozia e fu trasportata in un'altra dimensione, tanto lontano dalla sua casa. Mi sembrò un tema molto affascinante, e surreale. In quei tre giorni, Jamie ed io diventammo più intimi. Parlavamo con tranquillità, e ridevamo. Se lui doveva dirmi qualcosa, lo faceva senza più esitare ed io ne ero felice. Una sera, stavo passeggiando tranquillamente lungo il fiume. Jamie mi avvertì che il giorno dopo sarebbe andato a fare una passeggiata nel bosco circostante. La situazione mi sembrò al quanto strana, e dopo un po' di velata pressione, visto che lui non accennava al motivo, decisi di desistere. Feci mangiare Francis, e giocai con lui. Amavo il modo in cui mi guardava, come mi sorrideva, e il modo in cui mi stringeva le dita nel suo pugno morbido. I capelli diventavano sempre più neri, e gli occhi verdi brillavano ogni volta che rideva. Aveva un mese, adesso. Ogni volta che osservavo i suoi zaffiri, avevo come una pugnalata al cuore, perché in quegli occhi ci vedevo Bash. Mi mancava da morire, e mi mancava Francis. Sembrava un bambino precoce. Era impaziente di imparare, ed io non facevo nulla per fermarlo. Verso sera, decisi di andare a controllare se Jamie fosse tornato. Era andato via in tarda mattinata, e adesso mi ritrovavo a bussare alla sua porta. « Jamie? » mormorai. Bussai per due volte, ma non mi rispose nessuno. « Jamie? » provai ancora. Bussai altre tre volte, ma dall'interno non provenne nessuna risposta. Spinsi la porta, era aperto. Accesi la candela che era poggiata solitaria sul tavolo, e accesi tutte le lanterne della stanza. Assunse finalmente un aspetto meno lugubre. La mia attenzione fu attirata dalla botola di qualche giorno prima. Era aperta. Una brutta sensazione si impossessò di me, e rimasi impietrita sul posto. Non c'era niente che non andava. Non sentivo voci, né rumori. Tutto era tranquillo, tutto era silenzioso. Ma quel silenzio, per qualche motivo, mi faceva venire i brividi. Mi avvicinai di qualche passo alla botola, e afferrai la candela sul tavolo. Chinai la fiammella tremolante al buio più totale del sotterraneo. Si intravedeva una scala a pioli, e nient'altro. Sembrava che quella botola non avesse fondo. Mi sporsi in avanti, stringendo la candela nelle mie mani fredde e tremanti. Sentii un vento freddo sfiorarmi delicatamente la guancia, come se qualcuno fosse passato velocemente accanto a me. Mi voltai di scatto, e la fiammella per poco non si spense. Il cuore mi batteva forte nel petto, e una paura irrazionale mi attanagliò lo stomaco. Decidi che era meglio andare via. Diedi un'ultima occhiata alla botola aperta, e quando stavo per andare via, qualcosa di fronte a me attirò la mia attenzione. Il quadro. Quel dannato quadro che raffigurava la madre superiora mi incuteva una paura assurda. E nel corridoio, oltre la porta, si materializzò una figura nera, come sospesa nell'aria, che si mosse veloce. Mi stropicciai gli occhi con le mani, e la figura era già scomparsa. La leggenda della monaca mi tornò in mente, e un brivido di terrore e suggestione mi corse lungo la schiena. Se non me ne fossi andata in fretta, ero sicura che mi sarebbe venuto un attacco di cuore. Feci qualche passo indietro, tenendo ancora gli occhi fissi nel vano della porta dove avevo "visto" la figura pochi istanti prima. O almeno credevo di aver visto. Mi erano accadute tante di quelle cose sovrannaturali che ormai dubitavo anche dei miei sensi. All'improvviso, avvertii una spinta forte, violenta e in pochi secondi ruzzolai giù per le scale della botola, piombando pesantemente sul pavimento. Qualcuno mi aveva spinta. Tenevo i palmi poggiati sul lercio e freddo pavimento, mentre sentivo la guancia che iniziava a pulsarmi a causa della botta contro il suolo. Feci forza sui gomiti, e alzai la testa verso l'alto. La botola si era chiusa. E la candela si era spenta. Ero sola, al buio, nelle celle abbandonate di un antico convento maledetto. La paura incontrollata era l'unica cosa che il mio cervello riconosceva in quel momento. Sapevo che urlare non mi avrebbe aiutata in nessun modo, forse mi avrebbe innervosita ancora di più. A tentoni, cercai la candela spenta, e la trovai. Dalla tasca del vestito, tirai fuori una confezione di cerini che mi ero portata dietro e ne estrassi uno, lo sfregai contro il suolo, una, due, tre volte, e finalmente una fiamma rossa illuminò il circondario per qualche secondo. Avvicinai lo stoppino della candela al fuoco, e la accesi. Feci un po' di luce davanti a me, e l'atmosfera era decisamente lugubre. Invece di tranquillizzarmi, ero diventata più nervosa. Mi trovavo in un lunghissimo corridoio con ai lati vecchie prigioni, strumenti di tortura e altri aggeggi che ignoravo. C'erano degli enormi bauli, botti di vino ormai vuote e ammuffite, e una vecchia panchina di legno putrido. Probabilmente dove sedeva il guardiano. Il cuore ormai era impazzito, e la lingua si era seccata. Dissi a me stessa di calmarmi, di non dar peso alle suggestioni e alle leggende. Feci qualche passo in avanti, e raggiunsi la prima cella. La temperatura era scesa radicalmente, tant'è che mi ritrovavo a tremare dal freddo. Accostai la candela alle sbarre di ferro arrugginito e sbirciai dentro. C'era una panca, fissata al muro tramite due catene, e nient'altro. Le celle erano completamente prive di finestre, ed erano non molto alte. Ero sicura che chi fosse stato rinchiuso lì dentro, aveva passato i peggiori momenti della sua vita. C'era puzza di stantio, e di putrido. Chissà da quanti anni ormai non scendeva più nessuno. Il corridoio continuava ancora, e riuscivo ad illuminarlo solo fino a un certo punto, il resto era immerso nelle tenebre. Un rumore alle mie spalle mi fece voltare, di facendomi balzare di scatto il cuore in gola. L'attenzione venne attirata da uno dei tanti bauli, ma quello diversamente dagli altri era più piccolo. Chiuso da un potente lucchetto, aveva un non so che di misterioso. Mi inginocchiai, e tolsi il fitto strato di polvere con un fazzoletto. Provai a forzarlo, ma nemmeno a dirlo, non lo smossi di una virgola. Mi guardai attorno, e accanto ad una cella vidi una pietra. La raccolsi, e la scagliai poderosamente più volte sul lucchetto, fino a spezzarlo. All'interno trovai delle lettere. Erano scolorite dal tempo, dall'umidità e in parte rosicchiate dagli insetti. Provai ad aprirne una, ma non si riusciva a leggere nulla. Provai con una seconda, una terza, ma niente. Poi, aprì una quarta lettera, e questa sembrava essersi conservata perfettamente. Non mostrava i segni del tempo, sembrava essere stata scritta da pochi giorni.