Capitolo 7

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L'acqua si tinge di rosso, sporco uno dei tanti asciugamani preferiti di mia madre ma me ne frego. Mi fanno male le mani, tantissimo, ma ho ancora voglia di distruggere tutto.
Una strana sensazione allo stomaco mi fa piegare in due, non avevo mai provato qualcosa di così fastidioso. Vedere Alex mi ha sempre fatto uno strano effetto e ho sempre pensato che fosse dovuto al fatto che mi mancasse come amico. Quando però, quella bellissima ragazza, mezza nuda, ha posato le sue mani sul suo corpo, la sensazione era diversa e non sono così stupida da non aver capito che si trattasse di gelosia. Sono gelosa di qualcosa che un tempo ritenevo mio, non in quel senso. Fra me e Alex non ci sono mai stati sentimenti incompresi, ma infondo, all'epoca eravamo solo dei bambini. Non so, se quel rapporto all'apparenza così forte, sarebbe potuto diventare altro, ma ora ho la sicurezza che così non sarà. Almeno da parte sua. Innamorarmi di lui non è nei miei piani, sono già abbastanza distrutta così e se non riuscirò a recuperare la nostra amicizia, darò un taglio a tutto questo proprio per evitare di farmi ancora più male. Sarebbe un disastro.
Sbuffo, mordendomi le labbra quando noto che il sangue non vuole fermarsi. Non metterò dei punti, le mie mani sono abituate a non essere trattate bene. Afferro il kit del pronto soccorso dal mobile in alto a destra, tagliando una lunga garza bianca che spero servirà a tamponare le ferite.
L'idea di dovermi rimettere alla ricerca di un lavoro non è molto allettante, mi ero affezionata già a quel posto. Ho sbagliato, è successo tutto così in fretta.
Persino Sara mi mancherà ed io, non sono solita legarmi a qualcuno così facilmente, non più almeno.

Le prime luci che filtrano dalla finestra, mi avvisano che le mie ore di tormento sono terminate. Dormire è una tortura, perché non dormo e quando ci riesco ho gli incubi.
Scosto le coperte dal mio corpo, riuscendo dopo chissà quanto tempo a non guardare alla mia destra. Mi fa schifo.
Esco dalla mia stanza, evitando di guardami allo specchio, consapevole di essere qualcosa di molto simile ad uno zombie e mi acciglio, restando impalata sotto l'arco della porta della cucina, quando a tavola trovo i miei genitori intenti a bere un caffè.
"È successo qualcosa?". Mi viene spontaneo chiedere. Mio padre, un uomo alto, capelli brizzolati e un filo di pancia mi guarda con fare circospetto.
"Cosa hai fatto alle mani?". Sgrano gli occhi. Non hanno mai notato nulla in me, caso voglia, ora si.
"Problemi con il forno, mi sono bruciata", invento su due piedi. Lui annuisce appena, quindi deduco di essere stata credibile.
"Tesoro vieni a sederti", fà mia madre sorridendo appena.
L'ultima volta che mi ha chiamata tesoro, era per confessarmi che mia nonna-sua madre- fosse morta.
"È successo qualcosa?". Chiedo ancora. Non ho molta pazienza e questo non è sicuramente un buon giorno coi fiocchi.
"Sai che", mio padre prende un colpo di tosse. "Sto avendo problemi in negozio".
"Che genere di problemi?". Domando. Non so quando riavrò questo tipo di conversazione con mio padre.
"Economici", risponde prontamente da farla sembrare una grande bugia.
"Quindi?".
"Quindi", interviene mia madre. "Abbiamo bisogno di chiedere un prestito a degli amici..".
"Volete indebitarvi?". Quasi urlo. Ho letto molte storie finite in tragedia e iniziate in questo modo.
"Non proprio", si guardano. "Ci devono un favore, tutto qui".
"Oh", non so che dire.
"Staremo via per qualche giorno e ci...chiedevamo se tu fossi in grado di badare alla casa...da sola", conclude mia madre in un sussurro.
"Da sola?". Stringo i denti. "Ho sedici anni".
"Solo per cinque giorni". Prende parola mio padre. "Non è il caso che tu perda tutti questi giorni di scuola".
"Certo", ridacchio amaramente. "Come volete", mi alzo, strisciando la sedia contro il pavimento consapevole di infastidire mia madre alle stelle, prima di tornarmene in camera senza aver fatto colazione con loro.

È incredibile, assurdo come i miei genitori abbiano iniziato a fregarsene di me in questo modo.
All'inizio, erano piccole cose. All'inizio avevo l'impressione che stessero solo cercando di darmi più fiducia, di farmi sentire matura. Ora invece sono più che sicura, che di me se ne sbattono.
Prendo un lungo respiro, prima di aprire la manopola della doccia fredda. L'acqua scorre su di me, riuscendo in parte a calmare la mia rabbia ma so che non è di questo che ho bisogno. Quando torno in cucina, i miei non ci sono. Hanno lasciato un biglietto con su scritto che torneranno stasera a prenderle le valige per salutarmi, ma non ci sarò. Che si freghino!
Prendo un cornetto che hanno lasciato sul tavolo, prima di uscire di casa e correre letteralmente giù dalla scale senza guardarmi intorno. Stavolta sono io che non voglio incontrarlo. Non prendo l'autobus e me ne frego delle strane occhiate della gente quando attraverso senza neppure badare al fatto che il semaforo per i pedoni sia rosso. Inizio a correre sempre più forte, quando la necessità di prendere a pugni qualcosa si fa sempre più viva dentro di me. Non saluto Gin quando entro in palestra. Raggiungo il mio piccolo sgabuzzino, togliendo i vestiti che indosso per sostituirli con una tuta. Qualcuno bussa alla porta facendomi sobbalzare, so già chi è, per questo non rispondo e me la prendo comoda prima di doverlo affrontare.

La cura [H.S.]Where stories live. Discover now