Capitolo 6

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"Hai avuto una buona idea".
So che non è così, che Ben è tremendamente agitato per aver saltato scuola oggi ma apprezzo il fatto che cerchi di non farmelo pesare.
"Già, ogni tanto ci vuole una pausa", sorrido cercando di rassicurarlo sul fatto che se per un solo giorno salta scuola, la sua impeccabile media non sarà rovinata.
"Mi sembri stanca", afferma girando il suo caffè.
"Ho dormito poco", ometto il motivo. Non immagina minimamente che la scorsa notte sono rientrata alle quattro del mattino con un bel gruzzoletto di mance fra le mani. "Stasera andrò a letto presto", ovviamente no, ma non lo dico.
Mia madre era molto contenta stamattina quando le ho parlato del lavoro, non mi ha chiesto molto. Probabilmente non ha neppure ascoltato mentre tentavo di spigarle il mio compito lì dentro ed anche se le avessi detto che in quello stesso posto avrei incontrato spesso Alex non avrebbe fatto storie.
È distratta da non so cosa, non ha più tempo per me e la casa. È tutto un totale disastro e sono più che sicura, che semmai le arrivasse all'orecchio il fatto che ho rivisto Alex, le verrebbe un infarto. Dovrebbe essere più presente, più attenta, ma non lo è. Affatto.
"Fai bene tesoro", mi accarezza la mano sorridendomi ampiamente.
"A te come vanno le cose?". Chiedo rendendomi conto di non farlo spesso.
"Benone", prende un altro sorso. "La settimana prossima ho le selezioni come capitano della squadra".
Già, lui gioca a football e dovrei seriamente andare a vedere almeno una volta una sua partita.
"Fammi sapere quando precisamente", stringo la sua mano nella mia. Tengo a lui, ci tengo molto ma...sono stanca di ripetere sempre le stesse cose.
"Certo". I suoi occhi brillano quando mi guarda e quando si avvicina per baciarmi le labbra leggermente. "Avrai anche delle occhiaia pazzesche, ma sei sempre bellissima".
"E tu un gran bugiardo", ridacchio. Mi sono guardata allo specchio stamattina e bellissima, non è esattamente l'aggettivo adatto che avrei usato io.
"Permettimi di dissentire, lo sei davvero", mi sfiora il viso dolcemente. "Su andiamo, prima che l'ultima campanella suoni e mio padre si renda conto che ho saltato scuola". Sospiro per non sbuffare. Stavo bene con lui ora, ma c'è sempre qualche regola da dover rispettare, sempre.
Annuisco, afferrando la mia borsa. Quando usciamo da starbucks, una folata di freddo gelido mi colpisce in pieno viso. Ho bisogno di calore, ho bisogno di star bene. Raggiungiamo la sua auto e lo ringrazio quando accende fin da subito il riscaldamento. Guardo fuori dal finestrino come sempre, ha iniziato a piovere, come ieri, come il mese scorso. Ricordo davvero pochi giorni nei quali a Londra spicca il sole. Neppure in estate è così.
"Hai molto da studiare oggi?". Mi chiede Ben riscuotendomi dai miei pensieri.
"Non molto", non mi piace studiare. Non vado benissimo a scuola, ma neppure male. Semplicemente cerco di mantenere la sufficienza ogni anno e per ora ha funzionato. "Tu?".
"Abbastanza", fa una smorfia ma so che non gli dispiace. Sta già studiando per entrare ad un college di cui non ricordo neppure il nome. Lo stesso che ha frequento suo padre anni fa. Non avevo dubbi.
"Te la caverai", lo spingo giocosamente e lui ricambia. Alle volte penso che saremmo stati degli ottimi amici. Lui mi calma. Calma la parte strana di me, quella incazzata con il mondo. Mi spegne in un certo modo, e non sempre è una cosa negativa.
"Bene", bofonchio una volta giunti fuori il mio palazzo. Non ho problemi, mia madre se ne frega del mio andamento scolastico, ancor meno le interessa se marino o meno. "Allora ci sentiamo più tardi".
"Certo cucciola", stringo i denti trattenendomi dal correggerlo per il modo in cui mi ha chiamata.
"A dopo", gli sorrido dopo che le nostre labbra si sono separate prima di scendere dalla sua auto.

"Sono tornata", urlo aspettandomi di trovare mia madre ai fornelli, ma c'è troppo silenzio. "Mamma", continuo, ma nulla. Sembra non esserci nessuno. Arrivo in cucina, trovandola praticamente deserta. C'è un biglietto attaccato al frigo.
Sono in negozio con tuo padre, c'è qualcosa in frigo.
"Fantastico", alzo gli occhi al cielo. Non ho problemi nel cavarmela da sola, ma ultimamente sta capitando troppo spesso. Apro il frigo storcendo il naso, quando vedo che l'unica cosa che c'è al suo interno è una confezione di uova, ed io odio le uova.
"Neanche oggi si mangia". Sbuffò richiudendo l'anta. Mi giro pronta ad uscire per poter comprare qualcosa di commestibile per il mio pranzo quando il telefono che avevo stretto fra le mani cade al suolo provocando un rumore sordo in quell'assillante silenzio.
"Non urlare, non serve". E non lo faccio, non perché me lo ha ordinato lui, ma perché non ci riesco. È come se avessi perso l'uso della voce in questo momento.
Stento a riconoscere la sua, roca, bassa, graffiante.
È fermo sotto l'arco della porta della cucina e mi chiedo quando si sia poggiato lì. Perché non l'ho sentito arrivare. Deglutisco e finalmente riesco a reagire.
"Come sei entrato?". Alex distoglie lo sguardo dal mio, cosa che non aveva ancora fatto.
"La chiave sotto lo zerbino è un classico", mi acciglio perché non ero a conoscenza dell'ennesima cazzata di mia madre.
"Ciò non implica che tu possa entrare in casa d'altri".
Sono davvero io quella ha parlato in questo modo? Ad Alex poi...
"Giusto", risponde lentamente, scuotendo il capo. Mi sembra così strano tutto questo. Non il fatto che lui sia qui, ma il fatto che mi stia parlando e guardando nello stesso momento senza insultarmi. "Sarò breve". Lo è sempre stato. Alex non parla molto ma quando lo fa, sa bene cosa dire, come colpire.
Aspetto, la mia schiena che tocca l'isola della cucina. Ho sempre voluto avvicinarmi ad Alex ma ora, ho quasi paura a farlo. "Trovati un altro lavoro".
"Cosa?". Aggrotto la fronte.
Spalanco gli occhi quando avanza di qualche passo verso la tavola che ci divide, poggiandovi sopra un foglio.
"Pagano bene, quasi tutti".
"Cosa sono quei numeri?", non mi avvicino ma mi sto incazzando. Già, mi sto per incazzare con Alexander Clark.
"Cercano una barista, una commessa e una parrucchiera. Scegli tu".
"È uno scherzo?". Sbotto alzando la voce. Mi guarda male forse infastidito, ma non risponde e fa per andarsene. Ma non glielo permetterò.
"Perché?". Mi stacco dall'isola e le mie gambe prendono a muoversi nella sua direzione senza pensare alle conseguenze. Non risponde ancora, allora faccio il madornale errore di continuare a parlare.
"Qual'è il tuo problema Alex?". Si blocca e per poco non gli finisco addosso. La sua mano che stava per aprire la porta resta a mezz'aria. Erano anni che non chiamavo il suo nome. Forse, nessuno dei due è più abituato a questo. Si gira velocemente nella mia direzione, la mascella serrata, lo sguardo cupo. I suoi occhi verdi, hanno cambiato colore. So che è impossibile ma ho brividi perché è questo, quello che vedo e fa paura.
"C-cosa ...".
"Trovati un altro lavoro". Ringhia, poi si gira di nuovo e sbatte la porta così forte da far cadere il porta chiavi appeso ad essa.
Mi porto le mani sul cuore, ho l'ansia per quello che è appena successo ma sono felice. Disgustosamente felice per essere riuscita a parlare con lui, anche solo per litigare.

La cura [H.S.]Wo Geschichten leben. Entdecke jetzt