Domenica, 27 gennaio 2019
[Filippo]
Il suono di una notifica in arrivo sul mio cellulare interruppe il mio sonno già molto leggero di quella notte. Mi voltai verso la direzione opposta ma quando allungai il braccio mi resi conto dell'assenza di Beatrice. Per un attimo mi mancò il respiro al pensiero che nei quattro mesi successivi, ogni mattina al mio risveglio mi sarei sentito allo stesso identico modo non trovandola al mio fianco.
Il grande giorno era arrivato, quello dell'addio: quella domenica infernale che avevo sperato arrivasse il più tardi possibile era cominciata e sarebbe terminata nel modo peggiore possibile.
Mi sollevai a sedere, guardandomi intorno alla ricerca della figura di Beatrice che però non era in camera da letto. Indossai velocemente i boxer che la sera prima erano volati a terra insieme a tutti i nostri vestiti prima di fare l'amore, per tutta la notte, con la consapevolezza che quella fosse l'ultima che avremmo passato insieme per un po' di tempo, e il mio pantalone della tuta, e abbandonai la camera da letto, notando Beatrice dinnanzi al grande vetro della finestra che offriva una visuale mozzafiato di tutta la città, con solo la mia maglietta addosso e una tazza fumante stretta tra le mani.
Afferrai una coperta ripiegata sul divano lì di fianco e mi avvicinai a lei, poggiandogliela sulle spalle e sentendola sussultare leggermente per lo spavento.
"Ehi." le sussurrai semplicemente, passandole ripetutamente le mani lungo le braccia per infonderle un po' di calore.
"Non riuscivi a dormire?" le chiesi, nonostante sapessi quale fosse il vero motivo per cui fosse già in piedi a quell'ora del mattino.
Le lasciai un bacio sulla spalla e affondai la testa nell'incavo del suo collo, stringendola da dietro.
La sentii sospirare. Poi la osservai poggiare la tazza che aveva tra le mani sul davanzale della finestra e voltarsi finalmente verso di me, facendo incrociare i nostri sguardi.
I suoi occhi erano spenti e leggermente arrossati e sul suo volto si poteva leggere ogni suo turbamento. Le lasciai un bacio sulla fronte e le bloccai il volto tra le mani, affondando i miei occhi nei suoi.
"Hai pianto Bea?" le chiesi rassegnato, conoscendo perfettamente le sensazioni che stava provando e la difficoltà che avesse nell'esternarlo.
La vidi annuire e poi subito abbassare il capo, forse perché il contatto con i miei occhi l'avrebbe portata a piangere ancora.
"Avresti dovuto svegliarmi." la rimproverai, sollevandole il volto per guardarla meglio.
"Tra poche ore non sarai più qui e devo imparare ad asciugarmi le lacrime da sola. Infondo tutto questo l'ho già vissuto, sono abituata." mi spiegò, alludendo agli otto mesi che aveva trascorso da sola a Roma l'anno prima, senza rendersi conto di quanto la situazione fosse estremamente differente.
Sarebbe stato tutto diverso perché in quel caso io ci sarei stato: sapevo dove si trovasse, cosa stesse facendo e soprattutto sapevo come contattarla e avrebbe potuto contare su di me in qualsiasi momento.
"Finché sarò qui voglio essere io ad asciugarti le lacrime." le intimai, baciandole la fronte ancora una volta.
In quel momento tutte le mie paranoie, tutti i miei pensieri, passavano in secondo piano perché, nonostante stessi male per quello che avremmo dovuto affrontare, mi sarei addossato anche il suo dolore pur di vederla affrontare quell'avventura nella maniera più serena possibile. Sapevo quanto Beatrice tenesse a quell'opportunità e sapevo quanto avesse voglia di lavorare lì, ma allo stesso tempo c'era qualcosa che non la faceva rilassare del tutto e il pensiero che io fossi parte di quel qualcosa mi faceva star male il doppio, soprattutto perché sapevo di non poter far nulla di diverso dallo starle vicino.
La vidi sorridermi leggermente, scaldandomi il cuore come ogni volta in cui lo faceva, e le sistemai la coperta che le stava scivolando via dalle spalle.
"Vuoi parlarne un po'?" le chiesi, tranquillamente, sapendo che non ne avrebbe avuto la forza ma sperando che riuscisse a trovarla.
Lei scosse il capo così come avevo immaginato e io sospirai, senza insistere, per non forzarla in un momento già abbastanza difficile per lei.
"Puoi soltanto abbracciarmi? Da domani non potrò più chiedertelo per un po'." mi chiese, ridendo leggermente.
"Vieni qua." le sussurrai, sospirando perché avevo capito quanta tristezza si nascondesse in realtà dietro a quella risata.
La strinsi forte a me, beandomi del calore della sue braccia avvolte attorno al mio corpo e del suo profumo così forte da inebriarmi le narici.
Le sentivo respirare profondamente contro il mio petto e quella sensazione avrei voluto imprimerla dentro di me e non separarmene mai: tenerla stretta a me, così vicina al cuore, era una delle cose che più mi facevano stare bene al mondo, riusciva a darmi quella tranquillità che nella mia vita era sempre mancata e che, quando lei non c'era, tornava ad essere completamente assente.
"Che dici, torniamo un po' a letto?" le chiesi, osservando la pioggia che iniziava a cadere lenta fuori dalla finestra.
Beatrice alzò il capo verso di me e puntò i suoi occhi ancora un po' lucidi nei miei.
"Non credo che riuscirei a riaddormentarmi." mi spiegò, scuotendo il capo.
"Ci stendiamo un po' e ti tengo stretta sotto le coperte." cercai di convincerla e quando la vidi annuire, con un lieve sorriso formatolesi sulle labbra, mi sentii la persona più fortunata del mondo, come se avessi appena vinto alla lotteria.
Qualche minuto dopo avevo la testa poggiata sul cuscino e un piumone a coprire il mio corpo e quello di Beatrice, che si teneva stretta a me e aveva poggiato il capo sul mio petto, come se volesse mettersi al sicuro da qualcosa, tanto da sembrare una bambina. Sentivo il suo respiro contro la mia pelle e i brividi lungo le sue braccia al passaggio della mia mano che faceva su e giù per accarezzarla.
"Prima ci pensavo: oggi è un anno da quando ci siamo rivisti." mi fece notare e io sgranai gli occhi.
Illuminai lo schermo del cellulare e quando mi resi conto di che giorno fosse rimasi per qualche istante senza parole.
Era passato un anno da quando l'avevo rivista dopo gli otto mesi più lunghi della mia vita, un anno dal giorno in cui avevo deciso di rimettermi in gioco e lottare, un anno da quando ero entrato in quello studio convinto che sarei riuscito una volta e per tutte a mettere una pietra sopra al nostro rapporto e ad andare avanti: un anno da quando avevo incrociato di nuovo i suoi occhi e mi ero reso conto di amarla ancora come il primo giorno, se non di più, e che probabilmente non avrei mai vissuto serenamente senza la sua presenza fissa nella sua vita.
"E pensare che non volevo avere più nulla a che fare con te quando sono entrato in quello studio." scherzai, cercando di farla ridere, ed in parte ci riuscii.
Beatrice sollevò il capo sorridendo, mentre scuoteva la testa, e si avvicinò per lasciarmi un bacio a stampo.
"Stavi solamente mentendo a te stesso." sussurrò contro le mie labbra, provocandomi.
"Lo so." le confermai, afferrandole il volto per approfondire quel bacio troppo innocente per potermi bastare in una giornata come quella.
Beatrice sorrise contro le mie labbra e poi si staccò, poggiando la testa accanto alla mia sul cuscino, per potermi guardare perfettamente negli occhi.
I nostri corpi erano pericolosamente vicini e i nostri occhi erano intrecciati gli uni negli altri, tanto che il marrone dei suoi stava diventando un tutt'uno con il verde dei miei.
"È passato un anno da quando ci siamo ritrovati e adesso stiamo per lasciarci di nuovo." constatò e io scossi violentemente il capo, sollevandomi su un gomito e alzando la testa dal cuscino, per potermi avvicinare a lei e guardarla meglio.
"È una circostanza differente e noi siamo cambiati, Beatrice. È tutto diverso e, se ha funzionato quando era tutto un casino, non vedo perché non possa andare bene anche stavolta. Siamo io e te." la rassicurai, accarezzandole una guancia in quel modo in cui sapevo che la facesse impazzire e tranquillizzare.
La vidi chiudere gli occhi e sospirare sotto il mio tocco.
"In ogni caso questa resta una giornata di merda." si lamentò, mettendo un broncio così tenero da farmi scoppiare a ridere per quanto fosse bella da morire.
"Abbiamo ancora un po' di tempo però." le soffiai sulle labbra, provocandola.
Beatrice mi dedicò un sorriso smagliante, per la prima volta non finto da quando ci eravamo svegliati, e io la baciai, senza poterne fare a meno, cercando di godermi al meglio quelle ultime ore insieme. La baciai fino a sentire le labbra pulsarmi e farmi male e ci ritrovammo di nuovo nudi sotto le lenzuola, uniti in una persona sola, con i nostri corpi attaccati come se non potessimo fermarci, con la consapevolezza che quella fosse l'ultima volta prima di quattro lunghi mesi durante i quali l'unico modo in cui ci saremmo potuti vedere sarebbe stato attraverso lo schermo di un cellulare.
Facemmo l'amore come forse non l'avevamo mai fatto, in quel letto che per quasi una settimana era stato testimone di quello che ci legava, come ogni angolo di quella casa in cui lei avrebbe vissuto senza di me.
Avevo soltanto un'altra bomba da sganciare prima che fosse tutto perfetto. Avevo qualcosa da confessarle che mi portavo dietro da troppo tempo e che mi faceva paura perché non sapevo come l'avrebbe presa e temevo che avrei rovinato l'ultimo giorno che avremmo potuto trascorrere insieme.
Non volevo rischiare di commettere lo stesso errore che ci aveva fatto litigare già una volta, non volevo che venisse a saperlo da qualcuno che non fossi io, non volevo che si ritrovasse a leggere di una notizia tanto importante sui social, perché io ero stato troppo codardo per non parlargliene.
Era una cosa così importante per me che non averglielo detto mi sembrava quasi surreale e un po' mi faceva mancare l'aria il fatto che lei non lo sapesse ancora perché aveva sempre saputo tutto di me, era sempre stata una delle prime persone a cui raccontavo ciò che mi riguardava, e non vedevo l'ora di potergliene parlare liberamente. Allo stesso tempo era estremamente difficile dirle una cosa del genere dopo così tanto tempo perché avevo paura che non riuscisse a perdonarmelo.
"Bea, c'è una cosa che devi sapere." le sussurrai ad un certo punto, nel silenzio che si era creato in quella camera da letto, spezzato solo dai nostri respiri mentre eravamo distesi, nudi e abbracciati, sotto le coperte.
Le accarezzai un braccio e la vidi alzare la testa verso di me per potermi guardare bene in volto.
Sapevo di non poter più tornare indietro, che ormai avevo lanciato la bomba e dovevo farla esplodere. Non avrei mai voluto spezzare quel momento di tranquillità assoluta che si era creata, soprattutto perché sapevo quanto si sarebbe arrabbiata, ma preferivo risolvere la questione avendola ancora lì davanti a me piuttosto che attraverso un cellulare in due continenti differenti.
"Devo preoccuparmi, Filippo?" mi chiese e io scossi il capo leggermente, sorridendole appena per tranquillizzarla.
Mi alzai a sedere e la vidi fare lo stesso, tirando il lenzuolo verso di lei per coprire il corpo nudo.
"No, devi solo promettermi che resterai calma e mi ascolterai." le intimai e vidi l'espressione sul suo volto cambiare, farsi più cupa, come se avesse paura di ciò che stavo per dirle.
Non so da dove avessi tirato fuori quell'improvviso coraggio ma sapevo di dovergliene parlare assolutamente e aspettare non sarebbe servito a nulla.
"Mi stai spaventando ma ti ascolto." la vidi sospirare e le strinsi una mano, sentendola ricambiare la presa.
Presi un respiro profondo e mi preparai a raccontarle tutto.
"Quando eri a Roma l'anno scorso, sono stato in Salento con Giulio per provare a scrivere un po' e tra tutte le canzoni che ho scritto ce n'era una che ho tenuto da parte. Non l'ho presentata ad Amici né ho pensato di inserirla nell'album. È rimasta lì, chiusa in un cassetto, per un sacco di tempo, perché non mi sembrava ancora il momento giusto di tirarla fuori." le raccontai, vedendola annuire confusamente ad ogni mia frase.
Sapevo che non avrebbe compreso il senso di quel discorso finché non fossi andato avanti perché non avrebbe mai potuto immaginare che le avessi tenuto nascosto una cosa tanto importante.
"Oltre a Giulio, l'avevo fatta ascoltare solo a Lori, e qualche sera prima del mio compleanno, mentre fumavamo una sigaretta in hotel a Firenze, dopo un instore, ne abbiamo parlato e mi ha fatto rendere conto che una canzone a cui tenevo così tanto non potesse restare in un quaderno." le spiegai e la vidi sospirare.
La conoscevo così bene da poter capire che in quel momento nella sua testa stavano frullando mille domande e che, al di sopra di ogni cosa, si stesse chiedendo il perché non gliene avessi mai parlate o non avessi mai deciso di fargliela ascoltare.
"Non ti chiederò perché non me ne hai mai parlato, Filippo. So che ci sarà un motivo valido, quindi ti ascolto." mi tranquillizzò, come se mi avesse appena letto nel pensiero.
Quelle poche parole mi mandarono ancor di più in agitazione perché Beatrice stava cercando di rimanere quanto più calma possibile e lo stava facendo per me, ma sapevo che sarebbe esplosa dopo che le avrei rivelato il fulcro di quel discorso. Sarebbe stato inevitabile.
"Ci ho riflettuto su, un sacco. Ho passato una notte insonne a pensarci e alla fine ho capito che la cosa più sensata da fare, per dare alla canzone il peso e l'importanza che meritava, fosse solo una." arrivai al punto.
Beatrice corrugò la fronte, non capendo quale potesse essere il vero obbiettivo di tutto quel racconto.
Abbassai il volto, cercando le parole giuste per dire quello che stavo per dire, ma Beatrice me lo rialzò, alla ricerca insistente di una risposta che placasse tutte le incertezze e i dubbi di quel momento.
"Che hai fatto, Filippo?" mi chiese, seria, puntando i suoi occhi nei miei, perché sapeva che non sarei riuscito a sfuggirgli.
"Ho inviato il pezzo alla Rai, alla commissione di Sanremo." sganciai la bomba.
Ne avevo parlato così tanto con Lorenzo e sul balcone di quell'hotel, quella sera, avevamo avanzato le ipotesi più assurde finché non era venuta fuori l'idea di Sanremo. Inizialmente l'avevo presa come un gioco ma poi avevo passato davvero tutta la notte a pensarci: il pensiero di ritornare lì, in quel teatro, sul quel palco dove avevo cantato per la prima volta davanti ad un pubblico così vasto, mi terrorizzava, ma allo stesso tempo riuscivo a immaginarmi perfettamente nel cantare quella canzone proprio lì e improvvisamente Sanremo era divenuto l'unico luogo che realmente ritenessi adatto per esaltare il contenuto di quel pezzo.
Beatrice si portò una mano alla bocca, sorpresa e anche leggermente incredula per quello che le avevo appena rivelato.
"Stai scherzando, vero?" riuscì semplicemente a sussurrare, mentre scuoteva la testa.
Aveva un leggero velo di delusione negli occhi che un po' comprendevo. Cercai di approfittare del fatto che fosse ancora lì, accanto a me, e che non fosse scappata via come invece avevo previsto, per continuare a parlare e raccontarle tutto nei minimi dettagli per chiarire quella situazione.
"Ho inviato la traccia la mattina prima del concerto a Milano, prima che scoprissi dello stage in quel camerino. Quando siamo entrati lì dentro ho iniziato a cercare il cellulare perché stavo fremendo nell'attesa di una risposta da parte loro. Volevo dirtelo quella sera. Doveva essere una sorpresa." le raccontai, cercando di rimettere insieme i cocci di ciò che avevo rotto dandole quella notizia dopo così tanto tempo.
"E come è finita? Hanno accettato il pezzo?" mi chiese conferma e un po' mi tranquillizzai, perché non credevo l'avrei più sentita parlare con quel tono di voce apparentemente calmo almeno per un paio di ore.
"Mi hanno confermato di aver preso in considerazione la mia richiesta solo il giorno dopo. Avevamo litigato, lo sai. Il giorno prima di tornare a Monza da Carrara mi hanno telefonato e mi hanno comunicato che sarei stato tra i ventiquattro partecipanti." conclusi, sentendo il cuore decisamente più leggero per averle finalmente parlato della mia partecipazione a Sanremo, ma quella sensazione durò solamente per un attimo, prima che la delusione nei suoi occhi mi colpisse in pieno, come un proiettile dritto al cuore.
"Quindi lo sapevi da un mese." affermò, ferita, quasi come se avesse voluto che negassi tutto, che fosse tutto un brutto scherzo.
Annuii semplicemente, non sapendo cosa altro fare se non evitare di omettere anche il più misero dettaglio perché non volevo farla stare ulteriormente male.
La vidi allontanarsi da me, indossare velocemente l'intimo e scendere dal letto, per rivestirsi.
Ero sicuro che fosse felice per quella notizia, forse lo era anche più di me, ma allo stesso tempo la rabbia che stava provando dentro le impediva di manifestare qualsiasi altra emozione.
"Beatrice, ti prego, fermati." la supplicai, indossando velocemente i boxer e correndole praticamente dietro mentre usciva dalla stanza, riuscendo a bloccarla per un polso.
Non avrei permesso che finisse in quel modo, non sarei tornato in Italia lasciandola in quelle condizioni, non mi sarei mosso di lì finché non avessi chiarito tutto il casino che avevo combinato.
"Devi starmi lontano, Filippo." mi urlò contro, gesticolando così tanto che in altre circostanze mi avrebbe fatto ridere ma che in quel momento mi faceva sentire solamente tanto in colpa per il modo in cui l'avevo ridotta.
"Puoi starmi a sentire per un attimo?" provai ancora, cercando di fermarla e farla sedere un attimo.
Volevo che si calmasse perché era veramente troppo agitata e vederla così non mi piaceva affatto.
"Mi prendi per il culo, Filippo? Sei la persona di cui mi fido di più al mondo e porca puttana no, non sto ad ascoltarti. Per tutto questo tempo non hai avuto la decenza di dirmi niente. Cazzo, no, non voglio ascoltarti." urlò ancora, con le guance rosse per la rabbia e gli occhi così lucidi da farmi quasi paura.
La conoscevo da una vita e avevamo litigato un sacco di volte ma credevo di non averla mai vista più arrabbiata di così e il fatto che fosse tutta colpa mia mi faceva star male il triplo.
Non volevo litigare con lei, volevo mantenere la calma e lasciare che almeno un briciolo della mia razionalità mi mantenesse con i piedi a terra, senza permettermi di dire cose che in realtà non pensavo.
"Io so come avresti reagito, se te l'avessi detto prima. Avresti cercato di rimandare la partenza in tutti i modi e non potevo permettere che perdessi l'opportunità migliore della tua vita per colpa mia." le spiegai, cercando di farla ragionare.
Speravo davvero che quella reazione fosse solo passeggera e che si tranquillizzasse. Speravo di poter avere una conversazione civile, di poterle spiegare le mie ragioni in maniera pacata e che lei capisse, senza incazzature che non avrebbero fatto bene a nessuno di noi due.
"E questa per te è una giustificazione? Sei venuto qui con me, ti sei assicurato che io partissi. Ti rendi conto che mi hai presa per il culo per tutto questo tempo, come se fossi una bambina stupida che non sa badare a se stessa?" urlò ancora, poggiandosi subito dopo al bancone della cucina per riprendere un po' d'aria a causa del respiro affannato.
Feci per parlare ma non me ne diede il tempo, tornando ad urlarmi contro come se davvero credesse che facendolo si sarebbe sentita meglio.
Se avessi avuto la certezza che al termine di quella sfuriata si fosse tranquillizzata, le avrei permesso di inveirmi contro per tutto la giornata.
"Non hai scusanti, Filippo. Avresti dovuto dirmelo e basta." mi disse, delusa, abbassando leggermente il tono di voce.
"Adesso siamo pari, no? Tu non mi hai detto dello stage e io non ti ho parlato di Sanremo." sputai con cattiveria, pentendomene un attimo dopo, osservando i suoi occhi farsi un po' più lucidi.
Era esattamente ciò che volevo evitare per non peggiorare la situazione: odiavo litigate con lei perché finivo con il rinfacciarle cose che per me non avevano più peso ma che l'avrebbero fatta sentire in colpa. Era un mio grande difetto e lo odiavo da morire.
"Sei una merda." mi sussurrò, con la voce tremante e gli occhi colmi di lacrime che stava cercando di trattenere, ed in quel momento mi resi conto di averla ferita. L'avevo fatta grossa e dovevo rimediare.
Beatrice si allontanò da me e afferrò una giacca dall'attaccapanni, indossandola velocemente.
"Dove stai andando?" le chiesi.
Non volevo che uscisse di casa per andare chissà dove a piangere, non volevo che si tenesse tutto dentro. Volevo risolvere quella faccenda insieme a lei ma a quanto pareva, non me ne stava dando l'opportunità.
"Non seguirmi." mi liquidò velocemente, prima di aprire la porta d'ingresso e richiudersela velocemente alle spalle.
Rimasi lì come un cretino, immobile e senza parole. Mi sarei volentieri preso a schiaffi da solo per la grandissima cazzata che avevo fatto e non sapevo come comportarmi per risolvere tutto.
In preda alla rabbia tirai un calcio ad una delle sedie del tavolo da pranzo, rovesciandola. Mi lasciai andare contro la superficie del muro e mi accasciai a terra, portandomi le mani in volto: non sapevo come comportarmi, non sapevo dove Beatrice fosse andata e non sapevo come porre rimedio a tutto ciò che avevo combinato. Volevo solo che lei capisse che se avevo fatto tutto ciò era perché la amavo e non volevo che rinunciasse a nulla per colpa mia. Glielo avrei fatto capire, non mi sarei arreso per nulla al mondo perché Beatrice era e sarebbe sempre stata una buona causa per cui battersi.

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Nonostante noi - IRAMA
Fanfiction"Ci siamo guardati, di sfuggita, come fanno due che vorrebbero sapere come sta l'altro ma che hanno troppo orgoglio e perciò stanno zitti. Ci siamo guardati, come fanno due bambini che hanno litigato e aspettano il coraggio per fare pace. Ci siamo g...