Capitolo 1.

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Era una sera come tutte le altre.
Ero seduta sul letto, stavo sfogliando qualche pagina di un book fotografico di tanti anni fa. Ero sintonizzata ad ascoltare la musica, strumento di viaggi, i miei viaggi, alla ricerca di ricordi. Ricordi di famiglia, ricordi di infanzia, ricordi indelebili, ricordi che rimarranno sempre in vita.

Non so il perché l'avessi fatto, ogni tanto mi capitava di voler ricordare qualche avvenimento. Ad esempio quando mio fratello Marc ritornò dall'Inghilterra dopo 3 lunghi anni di lontananza e di sofferenza.
Oppure quando persi il mio peluche preferito "TOBY IL CANE COCCOLOSO", che brutto ricordo, ne ero affezionata.

Poi, nel bel mezzo dei miei pensieri, notai una foto. Una foto che mi lasciò sorpresa, lasciandomi il sospiro pesante.
Nella foto i protagonisti erano mia madre, mio padre, una carrozzina al cui interno c'ero io e un altro bambino, ma non era Marc.
Marc era più grande di me e non andava più in carrozzina.
E chi era quel bambino? O bambina?
Sentii sbattere fortemente la porta di camera mia. Era mia madre.
Tolsi gli auricolari dalle mie orecchie e le appoggiai sopra al book fotografico.

«Che succede?» domandai perplessa dal suo bruscoso arrivo.

«Hai visite» disse solo, notando il book alle mie spalle.

«Che stai facendo?» mi domanda, avvicinandosi per curiosare meglio.

«Nulla, guardavo solo alcune vecchie foto» e mi alzai, per raggiungere la porta di ingresso.

Arrivai in salotto e notai un uomo di spalle,
seduto sul divano.
«Chi è» pensai tra me e me.

Mia madre prese il sopravvento di parola:
«Clark, è qui!» e l'uomo si girò verso di noi.

Mi guardò, mi osservò e si alzò.

«Ciao Cheryl, io sono Clark Morrison! Sono un carissimo amico di tua madre» e mi porse la mano.

Cosa ci faceva questo Clark in casa mia?
Ma soprattutto cosa voleva da me?

«Dunque?» rimasi indifferente dalla sua presenza.

«Dunque tua madre mi ha parlato molto di te, del talento che nascondi dentro di te.
So che ami molto la musica, ti piace scrivere, scrivere canzoni e questo mi ha incuriosito molto» il suo discorso fu così vago, che esclamai: «Arrivi al dunque!»

«Ti vorrei nella mia scuola.
Si, sono anche il preside dell'istituto di Brooklyn, non solo un amico di tua madre» e sorrise, rivolgendole uno sguardo.

«Davvero smieloso» pensai ad alta voce, non rendendomene conto.

«Come ha detto?» chiese l'uomo che avevo davanti.

«Nulla! Stavo solo valutando che Brooklyn è molto lontano da Stratford» e mi girai verso mia madre, per ottenere il suo pensiero.

«Qual è il problema, cara?
Si tratta di un college. Starai lì, fino a quest'estate e ci vedremo ugualmente» disse, con tanta tranquillità.

Ci dirigemmo verso all'uscita della porta.
Mia madre e Clark chiacchierarono molto su tanti vari argomenti, che con tutta onestà, non mi interessavano per niente.
Poi lo sguardo dell'uomo, si soffermò verso il mio.

«Spero di vederti Cheryl» mi rivolse questa frase, della quale non capì il significato.

Perché mi voleva nella sua scuola?
Infondo amavo molto scrivere, ma penso che sia un fatto comune, non un'estraneità.
Lo salutammo e se ne andò con la sua macchina scura e lunga, quasi come se fosse uscito da un film di 007.

«Mamma voglio delle spiegazioni!» cominciai a questionare.

«Perché gli hai parlato di me? Già frequento una scuola, perché dovrei andarmene via?» mi interruppe all'istante.

«Cheryl, figliola calmati.
So che odi la scuola che stai frequentando e ho pensato di farti un favore.
Poi dai, stavo pensando che dopo la morte di tuo padre, non ha più senso vivere ancora a Stratford..» ecco dove voleva arrivare.

«Te ne vuoi andare?
Vuoi che ce ne andiamo via?
Programmi le cose senza neanche parlarne con me e Marc!» non aveva senso questo suo comportamento.

Non aveva il diritto di decidere senza avercene parlato.

«Avevo paura della vostra reazione, specialmente la tua. So benissimo a quanto sei legata a tuo padre, a tutto ciò che appartiene a tuo padre, ed è per questo che non è ho avuto il coraggio di parlartene.
Sappi, che se ce ne andiamo è per il nostro bene.
Sai anche te che stare qui, non sistema la situazione. Si riaffiorano ricordi, pensieri...come quel book fotografico che hai lasciato sul tuo letto. Non smetti mai di pensarci, di pensarlo» abbassai lo sguardo, strinsi i pugni e deglutii cercando di trattenere le lacrime, consapevole del fatto che mi stavano già rigando il volto.

«Vado a fare le valigie!» riuscì a dire questa frase con non so quale coraggio, correndo verso la camera.

Dover dire "addio" o anche un solo "arrivederci" a Stratford, valeva dire una pugnalata al petto, rimanere senza respiro e tutto in una frazione di secondo, come la nascita di questa notizia, che divenne la ragione di una nuova vita.

Cheryl BlossomWhere stories live. Discover now