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Claudio rimane ancorato a quell'albero. Incapace di muoversi, incapace di parlare, incapace di respirare. Rimane lì per ore, fin quando non diventa buio e l'erba è umida di condensa. Sulla sua bocca c'è ancora la mano di Mario. Non riesce a toglierla, non riesce a farne a meno. La prima cosa a cui ho pensato è stata quella di curarti. Queste parole sono chiodi sui suoi arti. Ho sbagliato tutto. Ho passato una vita intera a prendermi cura di chi ne aveva bisogno e non ho pensato di farlo con lui. Con lui che ha solo pensato a me, con lui che dorme con la mano intrecciata nella mia per paura di perdermi, per paura di affrontare la notte da solo. Davanti agli occhi di Claudio passano rapide come saette scene di Mario e Alice. Sono passati quattro mesi e mezzo da quando, senza chiedere il permesso a nessuno, quel ragazzo dall'aspetto tenebroso, dai modi di fare crudi, dall'apparenza corvina, ha voluto entrare in quella stanza senza esitare un solo istante. Chi entra qua dentro non sparisce dopo due giorni. Questo non è uno scherzo. Claudio gliel'aveva detto. E lui, senza nemmeno riflettere, senza il minimo dubbio, era entrato e si era seduto accanto a lei. A Claudio manca l'aria, è rubata interamente dal pianto. Vede Alice innamorata di Mario all'istante, come solo un bambino può fare con chi si merita. Vede Mario che senza dimostrarlo al mondo, di notte, quando pensava di non essere visto, apriva un quadernetto con appunti confusi, e si cercava i nomi scritti male delle medicine, per capire lo stato di Alice. Claudio si sta sentendo male. Come ho potuto? Vede Mario riversare la sua paura del buio, il suo bisogno di luci nella notte, nelle decine di idee per illuminare quelle piccole stanze con disegni che rendono dolci i sogni e sereni i pensieri. Claudio si sta infliggendo questi ricordi perché sa di meritarlo. Lui che ti darebbe il cuore se ne avessi bisogno, lui che rimaneva su quella sedia per ore, si è sentito solo e abbandonato. Si vuole picchiare, si vuole ferire. Gli hai fatto pensare che il vostro amore non fosse abbastanza quando è il motivo per cui il sole sorge e tramonta lentamente tra rossi più accesi e arancioni più invadenti. Vaffanculo Claudio, sei uno stronzo di merda. Se lo ripete, per ore ed ore. Ripensa ai suoi occhi intimoriti, alle sue mani tremanti, alla paura folle che gli ha provocato e si odia. Odia il suo rendere tutto così difficile, odia il suo rifiuto delle cose semplicemente belle ma tremendamente significative, odia il suo scorpione nero, il ragazzo rimasto su quel letto anni prima, la leggerezza uccisa nel tempo.
Lui è l'opposto di te e ti ha capito come se fosse risultato della stessa vita. E tu cosa hai fatto? L'hai abbandonato alla prima occasione, hai lasciato ancora una volta che il dolore sopraffacesse la tua immensa voglia di amare. Perché? Perché l'hai fatto? Perché non sei corso tra le sue braccia e hai preferito prendere un treno?
Perché sei un vigliacco. Questo sei. Hai preferito voltare le spalle alla felicità e seguire le rotaie verso il nulla. Invece di salvare entrambi hai voluto uccidere anche lui per la paura che l'amore non bastasse a questo mondo. E invece basta eccome stronzo, l'amore non evita che le cose succedano ma fa in modo che svegliarsi la mattina e vederlo sorridere sia un regalo e alzare gli occhi e vederlo perso nei suoi pensieri sia motivo di gioia pura.
Stronzo Claudio, sei uno stronzo.
Hai girato il mondo, hai visto. Tu sai. Sai cosa c'è dall'altra parte del mare, sai cosa significa trovare la voglia di ballare in due gocce di pioggia. Sai cosa significa venire al mondo senza un futuro e trovare il coraggio di costruire ripari, di lottare per delle idee. Tu sai che la bilancia del mondo non ha mai funzionato, che la spazzatura pesa quintali in più rispetto ai cuori che nascono. E per questo sei stronzo. Per non apprezzare. Per non riconoscere in quegli occhi neri la verità della giungla, il profumo della terra arida. Lui si è consegnato nelle tue mani senza riflessi di una società ipocrita e senza fermarsi al tuo inutile involucro. Lui ti ha guardato dentro e ha fatto l'amore sul quel pavimento come all'alba dei tempi, carne contro carne. Ti ha mangiato, ti ha ingoiato, ti è entrato nelle vene solo perché sapeva la tua stessa cosa. Sapeva che non ci si può nascondere di fronte a ciò che non scegli. Perché quella non è stata una scelta. Vi siete dovuti amare perché altro modo di esistere nella stessa realtà non c'era.
Hai voltato le spalle alle leonesse che ogni giorno cacciano per sfamare il branco, agli elefanti che dormono appoggiati agli alberi, alle zebre che non distinguono i colori della savana.
E adesso sentili questi tamburi che gridano dentro di te, gridano per essere liberati, gridano perché vogliono vivere senza rimpianti.
Senti quella fitta che ti sta lacerando il cuore?
Quello è l'amore per Mario. Non è la morte di Alice.
Perdere chi vola via è straziante ma fa parte del giorno e della notte, della rotazione della terra, del movimento delle onde.
Perdere chi si ama per paura è una tortura che ti toglie la ragione di mangiare cibo e di bere acqua.

Le radici dell'albero, annaffiate da Claudio, lo tirano su e lo rimettono in piedi. Vai scemo, vai dove si trova il senso e lascia ciò che non ne ha riposare sotto terra.

Claudio svuotato e rinato cammina verso casa sua. Quando è quasi arrivato rallenta, si guarda attorno. Lo cerca con lo sguardo tra i vicoli e le macchine. Non lo trova. Apre il cancello, la porta, entra. Si fionda in bagno per sentire l'acqua sul suo viso, per sciacquare l'immagine del viso di Mario. Si asciuga, trova sua mamma nel salotto. "Claudio tutto bene? Mi fai stare in pensiero". Claudio si odia pure per questo. "Scusami, adesso sto meglio". Sorride stanco ma sorride davvero. La guarda mentre stira, mentre si occupa di chi non si occupa di lei. "Mamma". Lei alza lo sguardo, sorride dolcemente. "Mi dispiace tanto per Gabriele, deve essere stato terribile per te. Sono sicuro che ovunque sia è felice". La madre appoggia il ferro da stiro lentamente sull'asse. Allarga le braccia. "Vieni qua". Claudio non se lo fa ripetere e va verso il conforto primordiale. Si abbracciano, sua mamma gli dà un bacio sulla guancia. Poi lo guarda. "Cosa ne hai fatto di quello sfacciato del tuo ragazzo?". A Claudio esce una risata. Si può solo immaginare l'incontro tra i due. Si tira indietro il ciuffo. Sospira. "L'ho fatto scappare. Gli ho fatto male mentre lui cercava solo di aiutarmi". La madre guarda gli occhi sinceri di suo figlio. "Ne vale la pena?". Claudio sorride come un bambino. "Non ne hai la minima idea". La madre aggrotta la fronte. "E cosa pensi di fare?". Claudio si mette le mani in tasca, si gira verso la finestra, guarda il futuro.

"Penso di corteggiarlo senza pudore, di inseguirlo senza dignità e di dimostrargli ogni giorno della mia vita quanto esageratamente lo amo". Fa un occhiolino alla madre ed esce.

Dorme delle ore, dorme una vita, dorme ciò che aveva perso. Si sveglia, fa la valigia, saluta la madre con un bacio e si avvia alla stazione. Prende questo treno convinto di una sola cosa.

Mario è la ragione per cui Gabriele e Alice corrono felici in un prato e per cui quello scorpione è nero. Il nero è il colore dell'amore della sua vita.

Come zingari nel desertoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora