Notte del 22 febbraio.
ALESSIA'S POV
Mi sdraio sul letto e prendo il cellulare fra le mani, è mezzanotte passata ma sono convinta di non disturbarlo.
Ho pensato tutto il giorno alle parole di mia madre, ma non voglio tornare a Roma per parlargli e poi magari restare nuovamente delusa. Ho detto che avevo bisogno del tempo per me e così sarà.
Cerco il numero di Mattia tra i contatti, sono abbastanza positiva, ho voglia di sentirlo e di sapere come sta. E chi lo sa, magari anche di chiarire.Dopo infiniti squilli finalmente risponde, sento un rumore brusco e poi un respiro.
"Pronto?" Lo anticipo.
"Ale..." ha la voce impastata.
Mi siedo con le spalle al muro e le gambe penzolanti giù dal letto.
"Non ti disturbo vero?"
"No...tranquilla. Sto meglio ora."
"Perché? Stavi male?"
"Non mi senti? Sono ubriaco da star male."
Deglutisco con fatica, non la smetterà mai di bere. E io purtroppo non lo aiuto, è colpa mia anche questa volta.
"Devi smetterla di bere."
"Lo so."
"Lo sai ma non lo fai."
"Se bevo riesco a dimenticare."
Le solite cazzate.
"Non è affatto vero, lo sai benissimo."
"Almeno ho qualcosa che mi scorre nelle vene."
Mi sta facendo venire mal di testa.
Porto le ginocchia contro il petto e mi rannicchio.
"Smettila, mi fai sentire in colpa."
"Non è colpa tua, bevo perché voglio."
"Non ci credo."
"Perché non torni?"
Mi alzo e mi dirigo verso la finestra, "perché sto bene qua", osservo mio padre fumare in giardino e subito mi sembra di ritornare bambina.
La notte è appena iniziata e già la prevedo molto lunga.
"Hai già messo gli occhi addosso a qualcun altro?"
"Ma che sei serio?! Pensi davvero questo di me?"
"No...in realtà no..." lo sento muoversi e lamentarsi per il dolore, "però è la domanda che sicuramente vorresti porre tu a me."
Mi guardo i piedi, non ho pensato a questa possibilità...forse mi fido troppo di lui per farmi problemi di questo tipo.
Mi siedo sulla poltrona, con i piedi sulla scrivania, e inizio a mordicchiare una matita.
"Il tuo silenzio mi basta come risposta." Lo sento sussurrare.
"Sei a casa? Hai bevuto a casa? Da te o da me?" Cerco di cambiare discorso per non finire a litigare.
"Sono a casa mia...mi ha riportato Fulvio."
"Riportato da cosa?"
"Da una festa...mi sembra di avertelo detto."
Mi blocco, con la matita tra le labbra.
Mentre io pensavo se chiamarlo oppure no lui si stava divertendo a una festa.
Sto passando giorni di merda per colpa sua e lui ha il coraggio di andare a una festa...io non ce la faccio.
"Ale..."
Mi rialzo e torno a sedermi sul letto.
"Senti Mattia, sono stanca...vorrei provare a dormire."
"No aspetta, devo dirti una cosa..."
"Che cosa?" Mi mordo le unghie.
"Non so se ti piacerà..."
"Parla."
"Alla festa una ragazza si è avvicinata a me..."
Sapevo che non dovevo chiamarlo.
"Ah, ecco..."
"Ti giuro che in un primo momento pensavo fosse una delle solite, ma poi ha iniziato ad ascoltarmi..."
"Che gli dicevi?" La voce mi trema.
"Le parlavo di te."
"Beh, non solo eri a una festa, ma ti sei messo pure a parlare di me con un'altra...davvero, mi stupisci ancora."
"Non avevo altre intenzioni se non starmene per conto mio a bere, te lo giuro. Ma poi lei si è avvicinata..."
"Non ti voglio sentire più." Mi tappo le orecchie, ma lui alza la voce.
"Ale, io ti amo."
"Che cazzo avere fatto?!" Urlo, buttando il cuscino per terra.
"Ci siamo baciati."
Lancio un altro urlo e all'improvviso sento bussare insistentemente alla porta, "Alessia stai bene?!"
"Si mamma, un attimo!"
Mi porto le mani nei capelli, poi riporto il telefono all'orecchio.
"E io che volevo tornare a Roma...mi fai schifo Mattia."
"Ale, ti prego."
Mi lascio scivolare contro la porta.
Ho sempre sognato l'amore vero, ma io e Mattia non saremo mai quello "vero".
Inizio a piangere, forte, urlando tutto il mio dolore, non ce la faremo mai.
"Vaffanculo Mattia" sussurro, ma la linea è già caduta e Mattia non lo sento più.
Piango ancora più forte, non la smetterà mai di farmi soffrire, qualsiasi ocasione sarà sempre buona per andare con altre e io farò sempre la parte dell'illusa. Esatto, un'illusa.
Credo all'amore, quello vero però.
"Alessia se non apri immediatamente questa porta giuro che chiamo tuo padre e la sfondiamo!"
Mia mamma urla dall'altra parte e tira calci alla porta, "ho detto un attimo!", sbotto tirando a mia volta una gomitata alla porta.
"Apri!"
"Lasciatemi in pace!" Urlo più forte.
Piego le gambe, abbracciandomi le ginocchia, le lacrime mi bruciano.
Mi odio perché ogni volta che piango, è per lui. Mi odio perché non riesco a non farmi prendere in giro dagli altri, a non farmi ferire, a non farmi crollare.
Mi odio perché gli altri hanno il totale controllo di me stessa, io non ce l'ho più da tempo, mi odio per questo.
Mi odio perché basta una parola a buttarmi giù e perché l'unico che sarebbe in grado di rialzarmi è sempre lui, io da sola non ci riesco.
Mi odio e basta, mi odio perché ci credo troppo e perché a cascarci, alla fine, sono sempre io.
Mi odio perché penso sempre prima agli altri e poi a me stessa, anzi, mi odio perché a me stessa in realtà non penso mai.
Mi alzo e apro la finestra, cercando di prendere aria. Avevo smesso con gli attacchi di panico, o almeno...erano diminuiti.
Ogni secondo che passa l'aria mi manca sempre di più, cerco un appiglio a cui aggrapparmi, ma non lo trovo.
Inizio ad ansimare, qualcosa mi opprime il petto.
Ne devo uscire, ce la posso fare.
Le lacrime mi scendono mentre il mio cuore mi scoppia dentro, ho bisogno di qualcuno accanto a me, che mi aiuti a tranquillizzarmi. Ho bisogno di qualcuno che mi parli, mi basta sentire la voce di qualcuno per uscirne.
Ho bisogno anche solo di qualcuno che mi tieni la mano, per farmi sapere che non sono sola...per sapere che questa persona è lì per me, aspettando che io mi calmi, perché ci tiene a me.
Perché mi ama, come mi ama Mattia.
Lui saprebbe come fare, lui mi salverebbe.In un attimo mi rendo conto di essere migliorata e che l'unica cosa che mi rimane è una forte nausea, come sempre.
Giro la chiave nella serratura e apro la porta, i miei genitori erano appoggiati contro il muro, quasi senza speranze.
Non appena mi vedono iniziano a farmi un sacco di domande, che io non capisco. Poi mia madre mi prende il viso tra le mani e mi guarda delusa.
"Mattia..." mi dice, come se avesse sentito tutta la conversazione.
Annuisco e cerco di portarmi le mani alla bocca, ma lei mi tiene ferma.
Non mi resta che chiudere gli occhi e scoppiare ancora a piangere, le sue dita mi asciugano la guancia.
"Per favore abbracciami." Riesco a sussurrare.
Mi sorride e mi stringe forte a lei, mi mancava tanto. Io ho bisogno di lei.
Che mi piaccia o no, lei è l'unica donna a questo mondo che possa capirmi.
Ha il mio sangue, solo lei sta male se sto male io.Tante volte ho pensato di aver superato il limite, tante volte ho pensato di aver fatto delle grandi cazzate, tante volte.
Ma mai come quella sera, ero distrutta.
I pezzi di me erano sparsi in ogni angolo della casa e nell'aria non si sentiva altro che il mio dolore.
Quella sera pensai nuovamente di aver superato il limite...e forse era vero.
Il barattolino bianco non lo avevo in realtà mai buttato, era con me quella sera, in fondo alla valigia.
Così quando i miei genitori andarono a dormire e mi lasciarono sola, tornai in camera e mi ricordai di lui.
Non volevo ricascarci, però era l'unico che poteva aiutarmi in quel momento.
Mi ricordavo bene gli effetti che provocò su di me, tempo prima. Però ricordavo altrettanto bene come ci si sentiva dopo averne ingoiate un paio.
Io non volevo più pensare a Mattia per quella sera, volevo restare col mio dolore e basta. Volevo il dolore fisico, non psicologico.
L'acqua nel bicchiere è ancora sul mio comodino, le pasticche le ho fatte sparire, però qualche volta tornano fuori, quando ne ho bisogno.Appena ne ingoi una ti senti il re del mondo,saresti capace pure di scalare una montagna,inizia a salirti l'adrenalina e il sangue inizia a scorrere velocemente in tutto il corpo.
Ti dimentichi di tutto,non sai più chi sei però sei felice,sei felice proprio per questo,perché in quell'istante non hai problemi.
E poi però piano piano col passare del tempo l'adrenalina cala,inizi a ricordarti di aver appena ingoiato una pasticca di droga e di aver fatto del male a tutti coloro che ti vogliono bene,ti passa l'immagine nella testa di Mattia deluso per la cazzata che hai appena fatto e di ciò che poi ne saranno le conseguenze. Insomma,inizi a pentirti e automaticamente comincia a farti male il petto,il cuore,la testa. Ricevi come delle scariche elettriche per tutto il corpo e fa male,è un dolore allucinante. E così poi ti pieghi in due quasi con le lacrime agli occhi e maledici il momento in cui hai ingoiato quella roba,vorresti tornare indietro ma ormai la cazzata l'hai fatta e dovrai stare così,seduta a piangere contro il muro per tutta la lunga notte.
Ecco,questa è la droga,un circolo vizioso che si ripete in continuazione.
È un tunnel buio da cui non vedi luce.Quella era la mia fine.

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Credo in te,Mattia Briga.
FanfictionÈ vero,quando ti affezioni ci metti tutta te stessa,ti catapulti dentro con l'anima e nessuno potrà mai tirarti fuori. Lui per lei era una droga,una droga che va oltre le pasticche e tutti quei modi per uccidere. Era una droga bella,avete in mente...