ABEL
< Te l'avevo detto io che quel ragazzo ti fa bene>, esclamò la dottoressa Maffei entrando nella stanza con un sorriso stampato sulla faccia, gongolandosi. Dietro a lei vi era il dottor Mariotti, il quale la stava guardando sorridendo. Entrambi indossavano un cappello rosso di natale, che conferiva loro un aspetto dolce, che avrebbe sicuramente allietato i bambini ricoverati.
< Abel, abbiamo un regalo di natale per te>, esclamò subito dopo il dottore voltandosi verso di me. Lo guardai sorridendo, in attesa di sapere quale fosse il mio regalo. Speravo vivamente che fosse una bella notizia, tipo che, per un qualche strano miracolo di natale il mio tumore fosse diminuito, sia di grandezza che di aggressività.
< Sono passate circa due settimane da quando sei tornata con Valerio e in queste due settimane hai avuto dei progressi notevoli: hai ripreso a mangiare, e ciò ha avuto un sacco di conseguenze positive, e poi stai affrontando al meglio le cure, perciò, Abel, abbiamo deciso di dimetterti>, affermò la dottoressa con ancora il sorriso stampato sul volto. Quella donna sapeva tutto, o quasi, della mia vita.
< Puoi tranquillamente tornare a casa e venire a curarti con i day hospital, non c'è più motivo di tenerti rinchiusa qua>, aggiunse il dottor Mariotti.
Strabuzzai gli occhi, mentre il mio sorriso si allargava ulteriormente. Finalmente sarei stata dimessa, non ce la facevo più a rimanere chiusa in questo ospedale.
Il merito era tutto di Valerio: lui mi rendeva felice, e se ero felice affrontavo al meglio le cure, lo aveva detto anche la dottoressa. E poi, nonostante la persistente nausea, ogni giorno dopo scuola Valerio veniva a trovarmi e mi aiutava a mangiare. I primi giorni non era stato assolutamente facile, ma ero finalmente tornata a mangiare, nonostante la sola idea del cibo mi facesse venire da vomitare.
< Davvero?>, domandai estasiata.
< Sì, Abel, stasera puoi uscire>, mi rassicurò la dottoressa.
< Oddio, grazie mille!>, urlai, quasi, facendoli ridere. Quel giorno erano incredibilmente sorridenti. Spostai lo sguardo dietro di loro e vidi Derek poggiato allo stipite della porta; mi guardava sorridendo, probabilmente aveva sentito la bella notizia.
Qualche secondo dopo i dottori uscirono e al loro posto entrò Derek.
< Hai sentito la bella notizia?>, domandai non appena lo vidi entrare. Annuì e fece un sorriso forzato mentre si avvicinava al mio letto, diverso da quello che aveva fatto mentre era poggiato alla porta. Perché non era felice come lo ero io?
< Deddy, che hai? Non sembri felice>, affermai guardandolo seria, studiando la sua espressione.
< Non ho nulla>, mentì spudoratamente.
< E dài>, continuai, facendolo cedere.
< Sono felice che tu esca, ma se devo essere sincero mi sento più sicuro se stai in ospedale>, ammise chinando il capo. Era felice perché sapeva quanto non mi piacesse stare all'ospedale e quanto desiderassi tornare a casa, ma al contempo era preoccupato, dato che qui ero costantemente sotto controllo e nel caso mi sentissi male potevo ricevere intervento immediato. Stare in ospedale era snervante per svariati motivi e uno tra questi era la totale assenza di privacy: chiunque poteva entrare in camera tua in qualsiasi momento e non era proprio il massimo.
< Un po' come la principessa rinchiusa nel castello>, scherzai facendo il paragone.
< Se arriva il principe azzurro gli spezzo le gambe>, esclamò Derek, dimostrando di essere sempre il solito geloso. Lo era sempre stato, non poteva di certo smettere di esserlo, soprattutto nelle condizioni nelle quali riversavo. Proprio in quel momento apparve sull'uscio della porta Valerio e sorrisi vedendolo.
< Credo che sia appena arrivato>, sussurrai sorridente. Valerio era il mio principe azzurro: mi stava salvando, e non se ne rendeva nemmeno conto. A bordo del suo fido destriero, divenuto un vecchio scooter malconcio, avremmo attraversato il regno, la nostra amata Roma, in cerca di mille nuove avventure da affrontare uno di fianco all'altro, fuggendo dal drago, il cancro, posto a guardia del castello nel quale ero rinchiusa. Non sapevo se, metaforicamente parlando, il castello fosse l'ospedale o addirittura la mia stessa vita, costernata di rinunce e di dolori, a causa di quel fottutissimo drago che mi teneva prigioniera. Probabilmente ero schiava di me stessa, intrappolata in una vita che aveva preso troppo presto una via sbagliata, e non di certo per colpa mia.
Molte volte mi ero imposta quella scelta, ma non l'avevo mai resa concreta, semplicemente perché ancora non avevo raggiunto il fondo; ma adesso ero pronta per vivere la mia vita a pieno, come mi ero ripromessa, dato che avevo visto la morte in faccia, e non mi sarei privata di alcun tipo di piacere, dato che probabilmente di lì a qualche mese non avrei mai più potuto provarne uno. Credevo di essere arrivata al punto in cui mi ero rassegnata alla mia condizione e alla consapevolezza della morte, e quella volta non erano più semplici parole che sarebbero rimaste chiuse all' interno di quattro mura. Dopo tutto ciò che era successo e dopo aver vissuto sulla pelle cosa significasse la morte, anche con la perdita della piccola Gioia, ero finalmente pronta ad affrontare la vita, prima di dovermi scontrare faccia a faccia con la morte, che sentivo vicina da un po' di tempo. Non avrei mai creduto che le uniche persone che fossero in grado di vivere a pieno fossero le stesse che convivevano col peggio; era paradossale: convivere con la morte ti porta a vivere pienamente e quando impari a farlo la vita ti viene strappata via.
Derek sbuffò rumorosamente, probabilmente per farsi sentire anche da Valerio.
< Potevi scegliertelo più bello il principe azzurro>, scherzò, ma continuando a rimanere serio.
< Con quei denti che ha sembra più Ciuchino che il principe azzurro>, disse ad alta voce, provocando Valerio, il quale non parve offendersi, dato che si mise a ridere. Valerio aveva dei denti bianchissimi e la sua dentatura era assolutamente perfetta; forse gli incisivi superiori erano un po' troppo grandi, ma non mi interessava affatto e secondo la mia opinione non ricordava assolutamente Ciuchino del cartone animato Shrek.
< Se ti mando a fanculo ti offendi?>, domandò retorico Valerio continuando a sorridere.
< Provaci e te li stacco quei dentoni>. Stava ovviamente scherzando, nonostante l'aria seria, e ciò lo avevamo capito sia io sia Valerio.
< Vi lascio soli, ma sappiate che stanno per arrivare anche mamma e papà, perciò mani a posto>, si raccomandò Derek puntando un dito prima verso di me e poi contro Valerio. Per uscire dalla stanza passò proprio accanto a Valerio; lo fulminò con lo sguardo e gli diede una spallata, per poi uscire dalla porta.
< Allora, principessa, come mai quel sorriso?>, domandò dopo essersi seduto sul mio letto. Mi accarezzava dolcemente la guancia e mi guardava dritta negli occhi, come suo solito fare. Presi le sue mani tra le mie, facendo combaciare i palmi.
< Mi dimettono>, esclamai entusiasta. Il sorriso di Valerio si allargò fino a mostrare la dentatura bianca, precedentemente oggetto di scherno da parte di mio fratello.
< Mio Dio, ma è una notizia bellissima!, Finalmente puoi tornare alla tua vita!>, affermò per poi lasciarmi un dolce e casto bacio sulle labbra.
Alzai le braccia e portai le mani sulle sue guance, un gesto dolce che mi piaceva molto fare e che anche lui faceva spesso.
< È tutto merito tuo. Ti amo, Mr. Unhappy>. Sorrise ancora, voltò la testa e mi lasciò un bacio sul palmo della mano, per pi tornare a guardarmi.
< No, il merito è tutto tuo, Abelina>. Sentendo quel bruttissimo soprannome ruppi il dolce contatto e sbuffai.
< Ma vaffanculo, Vale'; perché devi rovinare sempre tutti i momenti dolci con questo nomignolo?>, dissi ridendo e alzando un braccio, come a volerlo mandare a fanculo.
< Ehi, principessina>, mi schernì facendo sempre riferimento al discorso precedente affrontato con mio fratello. < Da quando dici tutte queste brutte parole? Una principessa non dovrebbe utilizzare vocaboli scurrili. Quando ti ho conosciuta non sapevi neanche cosa fosse una parolaccia>, continuò abbozzando una risata. Cercai di tornare seria, anche se ciò mi risultava difficile.
< È colpa tua>.
< Mia? Io sono un angioletto, non le dico le parolacce>, affermò sbattendo ripetutamente le ciglia e congiungendo le mani, cercando di assumere l'aspetto dolce di un angelo. Era tutto matto, ma almeno mi faceva ridere, e ne avevo proprio bisogno. Non ribattei a parole, sapevamo entrambi che lui in verità diceva molte parolacce, ma non era asssolutamente una cosa che mi interessava, così mi limitai a ridere e a dargli una pacca sulla spalla; per un attimo ridemmo contemporaneamente, fin quando i nostri occhi non si incontrarono un'altra volta.
< Comunque ti amo anche io>, disse tornando serio, dato che prima non mi aveva risposto.

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Unhappy ~ Sercho
Fanfiction, chiesi sorridendo a mia volta. Era strana quella ragazza, la conoscevo da circa un'ora e non aveva fatto altro che sorridere. , confermò allargando il suo sorriso e poggiando la schiena sui cuscini. Notai subito le fossette proprio nel mezzo delle...