30. Ora prova a conviverci

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Ho sempre giudicato bene, in verità, le persone che, a un certo punto della loro esistenza, spalancano le braccia al fine di sfilarsi quella pesante coperta intrisa di bugie, menzogne, pressioni e soprattutto false facciate

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Ho sempre giudicato bene, in verità, le persone che, a un certo punto della loro esistenza, spalancano le braccia al fine di sfilarsi quella pesante coperta intrisa di bugie, menzogne, pressioni e soprattutto false facciate.

Coloro che si liberano di punto in bianco di un qualcosa che le frenava, che impediva loro di guardarsi allo specchio e sorridere al vero riflesso di se stessi, privo di qualsivoglia maschera imposta dalla società. Coloro che un attimo prima si stropicciano gli occhi per via del sole accecante e l'attimo dopo si ritrovano a urlare davanti a un'intera città, gridando ai quattro venti ciò che davvero pensano, ciò che davvero sentono, come stanno in verità i fatti.

Quelli che, in un certo senso, si ribellano alle ferree prassi istituite dagli altri, quelli che si ribellano a ciò che hanno costruito per compiacere e assecondare chi li circonda. Li giudico più che bene io, li stimo e provo per loro un profondo rispetto.

È un po' come far avviare una rivoluzione all'interno di noi: una salda e sicura direzione verso un cambiamento radicale – però, purtroppo, non è detta che possa durare per sempre, infatti si sa, potrebbe rivelarsi un processo sia a lunga durata, sia rapido.

Ad ogni modo, non è un qualcosa di facile e che viene a comando, non tutti riescono a fare i conti e a tirare le somme con i propri pensieri e le proprie idee, non tutti riescono ad abbassare la testa e a ammettere "no, con questo modo di riflettere non mi piaccio", "no, comportandomi così mi sembra di sbagliare", "no, vorrei agire diversamente", "no, basta nascondersi, basta mimetizzarsi", "sì, da oggi sarò un qualcuno di diverso".

Non è facile ammettere certe cose con se stessi, non è facile autoanalizzarsi scoprendo che persino dentro di noi abbiamo delle falle, degli errori, dei difetti da correggere.

Gli audaci ci riescono, gli intrepidi ce la fanno, i temerari osano. I codardi retrocedono, i vigliacchi falliscono, gli incerti rimangono statici nelle loro dinamiche senza futuro e senza cambiamento, destinati a essere succubi del prossimo fino a che non si fermeranno quei famosi dieci minuti per rendersi conto dell'errore che stanno trascinando dietro da troppo tempo, gravoso come un macigno.

Come ho detto, non è un qualcosa di facile, niente a che vedere con i modi di dire "facile come bere un bicchier d'acqua" o "facile tanto da poterlo fare a occhi chiusi".

Altrimenti, diamine, lo farebbero tutti. Non sarebbe più un qualcosa da ammirare e da prendere come esempio.

Non avrei mai pensato di poter affermare un concetto del genere ma... Leonardo c'è riuscito.

Leonardo ci ha inizialmente provato durante quel periodo, a suo dire, del terzo anno; in quel frangente è stato un processo breve, sbrigativo, lavativo, senza troppo impatto sulla sua persona.

          

Poi però ci ha riprovato, in questo venerdì di questo gelido novembre del corrente 2014, Leonardo ha spalancato le braccia togliendosi di dosso quella zavorra che, ipotizzo, si porta appresso da eccessiva durata. Leonardo ha preso per prima volta dopo chissà quanto un'enorme boccata di libertà, un immenso respiro di sollievo.

Infatti si può meravigliosamente notare dalle sue labbra semi-aperte anziché serrate, come solitamente è avvezzo a tenerle, dalle sue iridi sì fredde e distaccate dettate da quel colore così siberiano, però intrise di quell'emozione calorosa e tiepida che ti fa capire dello sforzo immane cui è stato appena sottoposto.

Per Leonardo non è stato banale raccontarmi ciò che avvenne fra me e lui, ciò che io ho da sempre ignorato e mai ricordato, ciò che lui ha vissuto e tutti i dì condiviso soltanto con sé e con nessun'altro. Però, in cuor suo, sapeva che era giusto farlo, sapeva che era un qualcosa che doveva compiere.

E c'è riuscito.

Ha portato a termine la sua missione.

Il ragazzo dai capelli biondi stringe con presa quasi eccessiva la mia mano, mai lasciata un solo attimo durante la sua narrazione. Sentiva il bisogno di aggrapparsi a qualcosa – a qualcuno – per non perdere la lucidità. Sentiva la necessità del tocco fisico, del calore delle mie dita intrecciate sulle sue.

Per tutto l'arco della sua storia non ho aperto una singola volta la bocca, non ho osato minimamente sfilare via la mano, l'ho lasciato sfiorarla e carezzarla a suo piacimento, quasi che mi ci sono crogiolata in quell'affettuosità così intrinseca e indubbiamente esclusiva. Riservata solamente e unicamente a me. Mi ha fatta sentire speciale, lo ammetto.

Un po' difficile in realtà, però facendo a questa maniera mi sento in pace con Matilde, sento di fare la cosa giusta. Ora non rimane altro che assorbire fino all'ultima parola pronunciata del suo ricordo, inglobare il tutto ed esaminarlo con la dovuta minuzia e il dovuto criterio. Questo è ancor più difficile, perché ciò che mi ha detto Leonardo è veramente un qualcosa di forte, inaspettato e intenso allo stesso tempo.

Cazzo... allora quella volta in quel vicolo buio e freddo non è stato il primo bacio che ci siamo scambiati.
Ma perché io non ho memoria affatto di questo evento? Me la ricordo la festa che diedero i Rappresentanti d'Istituto alla fine del mio terzo anno, mi ricordo che nonostante la mia avversione per l'altro indirizzo trovai quella circostanza divertente, e ricordo anche che assimilai diversi bicchieri di alcol e che a un certo punto caddi in una sorta di abisso colmo di abbattimento, repulsione verso il genere umano e nausea per la falsità che regnava dentro quella palestra, con tutti noi che ballavamo e ci divertivamo a suon di musica.

Diego si era preso cura di me in quanto io ero in tutto e per tutto una persona delirante e sofferente. Diego pure era all'apice dell'ubriachezza, ma ciò non gli impedì di scortarmi in un luogo isolato, sicuro e lontano da tutto quello che mi stava facendo momentaneamente impazzire.

In quel delicato periodo post-centro, malgrado tentassi in ogni modo di resistere e tenere duro al mondo reale, bastava anche una banalità a farmi ricrollare. E Diego questo lo sapeva più che bene, non sarò mai in grado di ripagare questo debito nei suoi confronti.

Ecco, ricordo solo fino a qua, fino al punto in cui il mio amico mi ha depositata sopra il grande materasso per il salto con l'asta. Poi vuoto totale, è come se una gigantesca gomma da cancellare sia passata e ripassata in quel lasso di tempo facendone svanire ogni associazione e ogni percezione.

Non ricordo minimamente Leonardo che mi sussurra che sono sprecata per un indirizzo come l'Artistico, che se fossi stata al Classico le cose sarebbero andate diversamente, soprattutto non ricordo il suo posare le labbra sopra le mie. Niente di niente. Nessuna sensazione, nessuna lampadina accesa.

Quando Apollo s'invaghì di AtenaWhere stories live. Discover now