~Capitolo 9~

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Erik si appoggia allo stipite della porta d'ingresso, le braccia incrociate sul petto. Alle sue spalle, una donna avanza lentamente, gli occhi incollati allo schermo del cellulare.

«Mamma, c'è... questa ragazza. Kristen...» mormora, continuando a fissarmi.

Appena sento quel nome - il mio nome - pronunciato da lui, è come se il pavimento sotto i miei piedi sparisse. Le gambe tremano, il respiro si spezza.

La donna, minuta, con i capelli biondi come i miei, si ferma accanto al figlio e poi compie un piccolo passo verso di me. Nessuno parla. Restiamo sospesi in un silenzio così denso da sembrare eterno.

«Erik... questa è la nostra Kristen...» dice lei infine, avvicinandosi e sfiorandomi delicatamente la guancia con una mano tremante.
«...tua sorella.»

Resto immobile, incapace di reagire, ma la mancanza prende il sopravvento. Mi getto tra le sue braccia, lasciandomi cullare da quel contatto che ho sognato per anni. La stringo forte, come se potesse sparire da un momento all'altro, mentre le lacrime, le mie e le sue , scorrono senza controllo.

Mi accarezza i capelli e mi bacia la fronte, proprio come faceva un tempo.

Quando ci sciogliamo dall'abbraccio, guardo Erik.
«Ciao... Erik...» gli dico con un sorriso sincero, fragile ma reale.

«Finalmente...» riesce solo a sussurrare.

Mamma, notando l'atmosfera ancora carica di emozioni, ci invita a entrare.
«Andiamo in salotto.»

La casa è moderna, spaziosa. Ogni dettaglio racconta una vita diversa, lontana dalla mia.

«Raymond, mio marito, è al lavoro. Gli sarebbe piaciuto molto conoscerti» aggiunge mentre ci sediamo su un elegante divano nero in pelle.

«Kristen... perché sei qui?» chiede Erik, diretto.

È più giovane di me, alto, capelli neri e quegli occhi verdi che sembrano leggermi dentro.

«Diciamo che qualcuno mi ha dato il coraggio di farlo...» rispondo, lanciando uno sguardo significativo a mamma.

«Ma... non avevi preso il mio numero dal telefono di tuo padre, Kris?» interviene lei.

«Sì, ma prima... sono successe altre cose. Che mi hanno spinta a farlo davvero.»

Erik alza un sopracciglio, incuriosito.

Proprio in quel momento suona il campanello. Mamma si alza a controllare. Sento delle voci, ma non distinguo bene chi sia, finché entrano entrambi nel salotto.

Perfetto. Ci mancava solo lui.

Jaydon.

Si toglie la giacca e mi fissa. Io abbasso lo sguardo, sentendo le guance scaldarsi.

«Kris, ti senti bene? Sei tutta rossa!» dice mamma toccandomi la fronte.

Grazie per la discrezione, mamma.

«Kristen? Perché sei qui?» chiede lui, perplesso.

«Ma che diavolo succede qui? Jay, come fai a conoscerla?» domanda Erik.

Non era così che dovevano scoprirlo.

«Ci siamo conosciuti qualche giorno fa... a San Francisco...» prendo fiato, «...in uno studio di tatuaggi.»

«E questo cosa c'entra?» chiede Erik, sempre più confuso.

«Lei vive lì» interviene mamma, tagliando corto, percependo la tensione.

Jaydon si avvicina e si siede tra me ed Erik.

«In realtà... non è proprio così che è andata» inizia Jaydon, incrociando lo sguardo dell'amico.
«Ero arrivato un giorno prima a San Francisco, e quella sera mi sono intrufolato a una festa. Ero ubriaco... e stanco di sentirti sempre parlare di lei, Erik. Volevo che la conoscessi. Che lei sapesse di te. Non credo l'avrei fatto se non avessi bevuto troppo...»

«Ma come facevi a sapere che fosse lei?» chiede Erik.

Anche io lo voglio sapere.

«Non lo sapevo. Ma avevo questa immagine mentale di lei e... quando l'ho vista... sembrava combaciare. L'alcol ha fatto il resto» ammette, abbozzando un sorriso.
«Poi ci siamo incontrati di nuovo, due volte. In una di quelle occasioni, ha iniziato a farmi domande su di te, e ho visto il tatuaggio... con scritto Emily

«E così hai capito che era lei» conclude Erik.

«Ma tutto questo... che c'entra con me?» chiede mamma, guardandolo.

«Non ha ancora risposto a nessuna delle mie mille domande» dico io, con un sorriso ironico.

«Allora è meglio se vi lasciamo un po' da sole. Dai, Jay, andiamo in camera mia» propone Erik, cercando l'approvazione della madre con uno sguardo.

I due salgono e io resto sola con lei.

Le racconto tutto. I miei tatuaggi, mostrandole quello dedicato a lei, le mie passioni, i miei amici.

«Allison... è la migliore amica che potessi incontrare.»

«Sono felice che tu l'abbia trovata» dice mamma, con gli occhi lucidi.

Poi, la domanda.

«E tuo padre?»

«Sta bene... si è risposato con Kate quattro anni fa.»

Abbasso lo sguardo. È il momento. Il vero motivo per cui sono venuta.

«Mamma... perché te ne sei andata?»

«Cosa ti ha raccontato tuo padre?»

«Che lo hai tradito. E che poi ha scoperto che eri incinta...»

Mamma sospira, delusa, e si avvicina a me. Mi prende la mano e inizia a raccontare. Tutto. Nei minimi dettagli.

E io... non posso crederci.

Mi alzo di scatto dal divano. Ho bisogno di andarmene.

Proprio in quel momento, Erik e Jaydon scendono.

«Dove vai?» mi chiede Erik.

«Devo tornare a casa.»

«Non te ne vai senza un abbraccio!» dice lui, stringendomi forte.

Poi vado da mamma. La abbraccio ancora una volta, più stretta che posso. Lei mi bacia la tempia.

«Ti accompagno io alla stazione» si offre Jaydon.

Annuisco.

In macchina non parliamo molto. Sono troppo scossa.

Quando arriviamo, prima di scendere, mi porge un foglietto.

«Il mio numero. Se hai bisogno di parlare.»

Lo prendo, lo infilo nella tasca e, dopo un attimo di esitazione, gli do un bacio sulla guancia.

«Grazie... di tutto.»

«A presto, Kris.»

Ore 15:00

Sto tornando a San Francisco. Non ho mangiato nulla e sono esausta.
Controllo il telefono: decine di chiamate perse, messaggi da tutti. Anche da papà.

Ignoro tutto e mi addormento.

Ore 17:30

Apro la porta di casa piano, senza fare rumore.
In cucina ci sono Kate e papà. Appena mi vedono, si alzano di scatto.

«Dove sei stata, Kris?! Perché non eri a scuola?» urla papà.

Lo guardo dritto negli occhi.
«Da mamma.»

Il silenzio cala improvvisamente. Lui si siede di nuovo, pallido.

«Dovresti solo vergognarti di te stesso» aggiungo a bassa voce.

«Di cosa stai parlando?»

«Cristo, papà... il figlio di cui era incinta... è tuo

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